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Quando la realtà è pulp

Creato il 28 gennaio 2013 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Da Fralerighe n. 2

Come dicevo nel primo numero della rivista, il pulp nasce come genere di serie B volto a soddisfare la sete di violenza, sesso e parolacce di un pubblico popolare. Un genere scritto per soldi, venduto su riviste scadenti. Ma il pulp col tempo si è affermato, si è evoluto. E più o meno dagli anni 90 il pulp è diventato uno dei modi più efficaci in ambito narrativo, insieme al noir, per rappresentare la realtà dei nostri anni. Vi siete mai chiesti perché?

Semplice: è la realtà dei nostri giorni ad essere pulp.

Quando la realtà è pulp
Scrivere una storia pulp, oggi, vuol dire trattare in modo crudo il lato peggiore della realtà. Non esistono forse in gran quantità omicidi, violenze, droghe, sesso promiscuo o estremo e altre cose simili, ingredienti basilari del pulp? Certo. E sono anche banalizzate dai mass media, rese accettabili da un linguaggio asettico, monotono e artificiale. Ed ecco che il pulp, con la sua crudezza, riesce a mostrare di nuovo la realtà (o comunque una parte di essa) per quello che è: violenta, sordida, rancorosa, promiscua, corrotta. Non c’è più il gusto voyeuristico del primo pulp per alcuni elementi tabù; a quello oggi ci pensa la televisione, con una cronaca nera sempre più vicina al gossip e al morboso. Oggi il pulp è solo rappresentazione cruda di una realtà cruda, e per questo è finito col fondersi inevitabilmente col filone del romanzo sociale. Basti pensare a Fight Club, romanzo che fa della critica sociale il suo leitmotiv. O anche a Il Lercio, Trainspotting, o per citare un autore nostrano Matteo Strukul, che con la sua Ballata di Mila fa un attenta analisi del suo territorio. Per non parlare del cinema, e chi più ne ha più ne metta.

A questo punto restano solo due cose da fare: congratularsi col pulp, per la maturità raggiunta, e preoccuparsi della realtà, che non è tanto dissimile dai romanzi.

Aniello Troiano



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