Dunque, nell'edizione di ieri della Repubblica c'era una pagina dedicata alla Lettonia, "Riga, la grande fuga dalla tigre ferita" di Nicola Lombardozzi. Il cuore dell'articolo trattava con argomentazioni condivisibili della crisi economica del paese, certamente uno dei paesi dell'Unione Europea che ha sofferto e sta soffrendo di più la crisi di questi ultimi anni.Ne ho parlato anche io spesso, in questo blog. Ed è vero che molti giovani lèttoni cercano nuove prospettive di lavoro e di sopravvivenza emigrando all'estero, specie in Gran Bretagna, in particolare nell'Irlanda, e in Germania, mentre in Lettonia la produzione industriale cala sensibilmente ogni anno che passa, smantellata a partire dalla fine degli anni '90.Ma nell'articolo di Repubblica si trovano qua e là un po' di stereotipi, alcuni inevitabili quando si parla di un Paese in cui si sbarca per qualche giorno giusto per confezionare un articolo e poi ripartire con il vasetto di miele e la collanina d'ambra in valigia, altri francamente poco sopportabili. Immagino che l'inviato di Repubblica, che è del resto il corrispondente da Mosca del quotidiano, abbia raccolto le sue informazioni soprattutto dalla minoranza russa (minoranza si fa per dire, il 30% della popolazione della Lettonia, e quasi la maggioranza nella città di Riga) dato che l'articolo era infarcito di varie affermazioni quantomeno audaci sulla storia della Lettonia e sullo stato della convivenza fra lèttoni e russi. Ad esempio quando scrive della "sfrenata campagna di emarginazione della popolazione russa" che a dire del giornalista ha abbassato fra l'altro il livello della scuola e dell'università lèttone, oppure quando si lancia nella curiosa affermazione secondo cui i russi durante i decenni passati erano "l'anima della vita culturale del paese", i cervelli, i ricercatori, i professori russofoni.No, i russi non hanno occupato la Lettonia alla fine della seconda guerra mondiale per portarvi cultura, progresso e benessere. I russi negli scorsi decenni sono stati gli aguzzini del popolo lèttone, certo assistiti anche da fiancheggiatori autoctoni senza scrupoli. I russi erano gli invasori, i conquistatori, quelli che per oltre quaranta anni hanno posto sotto una dittatura sanguinosa e tragica uno Stato libero e indipendente, dotato di una propria storia e di una propria raffinata cultura, assassinandone i figli migliori, spedendone in Siberia moltissimi, impedendo ogni libera espressione, soggiogando le intelligenze, mortificandone le tradizioni, lasciando macerie, lutti, rabbia, recriminazioni.I figli di quei russi ancora oggi vivono quei luoghi, e lo fanno garantiti da una costituzione e da leggi che gli consentono la libera espressione, fino a poter eleggere un sindaco russofono a Riga. Se questa è "sfrenata emarginazione del popolo russo", ha un ben strano modo di manifestarsi. La cittadinanza è vero, i russi se la devono conquistare, imparando a parlare lèttone, perché un paese in cui il 30% della popolazione parla russo non può far altro che cercare di proteggere la propria lingua nazionale. Molti russi ritengono questa una discriminazione, addirittura una violazione dei diritti umani, vorrebbero vivere in una Lettonia russofona, perché ancora si sentono padroni di quelle terre stuprate dai loro padri, dai loro fratelli. Perché ancora oggi non capiscono che le ferite sono aperte e sanguinose.Il buon Lombardozzi poi definisce Riga "un finto paese delle fate" circondato "dal vuoto di un ex repubblica sovietica senza strutture industriali, capannoni deserti e bunker militari". Ci sarebbe da sorridere, fargli conoscere davvero Riga e poi portarlo un po' fra le pianure infinite e verdeggianti dello Zemgale, lungo le coste ventose e brulicanti di dune di Kurzeme, fra le foreste sconfinate di betulle e pini di Vidzeme, fra i mille laghi del Latgale. O forse no, meglio che abbia preso il suo bottino d'ambra e luoghi comuni, e se ne sia tornato alla sua redazione. Che io figurarsi, a Riga preferisco di gran lunga incontrare russi piuttosto che italiani. Giornalisti sbruffoncelli poi...
Nella foto un manifesto per la festa del I° maggio durante l'occupazione sovietica della Lettonia (dal sito della Biblioteca Nazionale lettone)