Antonio Ingroia
Più ci avviciniamo alla data delle elezioni e più mi rendo conto che gli italiani sono un popolo che presenta le caratteristiche di un esercito disarmato, alle prese con marce forzate sempre più difficili e con troppi generali al comando. Un popolo che ha cessato di essere popolo e Nazione e si è disperso in mille viottoli diversi. Esattamente come succede a un prezioso oggetto di cristallo, quando cade a terra. Non si ricompone più. E chi ci riesce, avrà in mano una cosa senza valore e disgustosa a vedersi.
Per questo, a mio giudizio, ha fatto bene Ingroia a fondare Rivoluzione civile e a indicare una via da intraprendere in grado, prima di tutto, di ricostruire dalle fondamenta, il senso di ciò che siamo, come italiani. Il nostro Paese, infatti, è sempre più in balia di pescecani, di quanti lo hanno ridotto al punto in cui siamo. La prova del nove ce la dànno le oltre centosessanta liste presentate e, inoltre, quel gran correre dei cosiddetti candidati premier che, sovvertendo ogni ordine costituzionale, presumono tutti, contro ogni ordine costituito, di essere i futuri capi del governo.
Non ci sono molti discorsi da fare. Un Paese ridotto a una frantumazione così grave dimostra solo che la sua classe politica ha perduto da un pezzo credibilità e lume d’intelletto, e che ciò che avrebbe dovuto essere una prerogativa del capo dello Stato, e cioè la designazione del candidato premier, è diventato un optional, un’auto-investitura. Questa volta non c’è stata la reazione decisa del Quirinale contro la lesione delle sue prerogative. Da quello che possiamo capire, la suprema autorità istituzionale, per quanto alta e irripetibile, reagisce a seconda delle sue convenienze, o della tutela delle ragioni imposte, ad esempio, contro i magistrati di Palermo che indagavano sui rapporti tra Stato e mafia. Insomma anche sul versante delle garanzie costituzionali e del diritto a sapere la verità, si è preferito tutelare, con il silenzio, certi personaggi sui quali si indagava anche se si sarebbe dovuto privilegiare la via della trasparenza.
Ora se su una semplice intercettazione che non riguardava per nulla il presidente della Repubblica, bensì un ex ministro, si è posta una pietra tombale, figurarsi quali rassicurazioni possono avere i mortali cittadini quando, in nome della ragion di Stato di cui sono state sempre coperte le stragi, a cominciare da Portella della Ginestra e dalla stessa fine del bandito Giuliano, le autorità impongono la mordacchia. Nonostante siano passati oltre sessant’anni. E non siamo stati tacitati tutti gli italiani sulla mancata riforma elettorale? Lor signori hanno deciso che devono essere non più i cittadini a scegliere i propri rappresentanti, come vuole la Costituzione, ma i segretari politici e i soliti burocrati, la stessa legge fatta da lor signori, il solito porcellum. Meglio di tutti lo sa Ingroia che ha dovuto affrontare una controversia persino con il suo amico più caro: Salvatore Borsellino. E’ vero che il PD ha fatto le primarie per scegliere il premier (fatto, come abbiamo visto, incostituzionale), ma chi ha scelto i candidati, chi ha gestito il controllo dei risultati e, soprattutto, la campagna elettorale per i papabili? E adesso che si sono formate le liste nel mare magnum della degenerazione e degli appettiti di tutta la vecchia classe politica, gli italiani per chi andranno a votare il 24 febbraio? Per i propri rappresentanti o per i lacché di questo sistema malato? Ne è un sintomo la confusione. Non siamo infatti in America. La vera malattia non consiste, come vuole Bersani, nel nominalismo e nel personalismo delle liste, ma nel deprivare i cittadini, le sezioni, i territori del diritto alla proposta e alla discussione. In poche parole della possibilità a esistere come figure politiche. Una vera e propria espropriazione.
Da qui si può risalire a tutta la storia della nostra Repubblica. Poco importa che sia la prima o la seconda. Quello che ormai sappiamo è che, chiunque abbia un minimo di buon senso, ha il dovere di dubitare di ciò che si dice e persino degli atti ufficiali. Di quello che le autorità asseriscono. Specie quando i loro giudizi arrivano puntuali come mannaie in tempi di buio e di cattivo cammino. Ecco, la Rivoluzione civile comincia dal dubbio, dall’atteggiamento critico, dal rifiuto delle vecchie facce e dei vecchi comportamenti, per essere costruttori di democrazia e di consenso per davvero.
Ingroia si è sobbarcato, perciò, una grande responsabilità: costruire l’alternativa a tutte le forze politiche che hanno affossato le classi lavoratrici e le fasce sociali più deboli, tutelate dalla nozione del lavoro come valore primario dello stesso Stato, tanto da essere collocato al primo punto della nostra Carta costituzionale. Rivoluzione civile è un appello alla Resistenza, per la salvaguardia dei nostri diritti.
Perciò ho gradito molto ieri sera, alla trasmissione Leader di Lucia Annunziata, la gestione dell’incontro che Ingroia ha sostenuto con il pubblico presente. Ha dato la parola ai suoi candidati, intervenendo per il tempo strettamente necessario. La Rivoluzione civile comincia proprio da qui. Dalla condivisione, dal conflitto interno, dalla necessaria sintesi. Sono sicuro che questo movimento saprà costruirsi per il futuro le sue strutture democratiche dal basso, dando voce a chi non ha voce, sapendo penetrare nelle case, utilizzando le nuove tecnologie. Non alla maniera di Grillo che fa il despota e l’attore unico di tutte le piazze d’Italia, ma nell’unica maniera possibile. Quella solidaristica e partecipativa. Ci potrà riuscire se saprà sostituire alla denuncia gridata e al palcoscenico, il lavorìo capillare delle formiche, che si dànno da fare sempre, specie quando i tempi sono più difficili.
Giuseppe Casarrubea