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Quando la SF sorride – Parte seconda

Creato il 21 febbraio 2014 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

adams_hitchfive_covI lettori di questa rubrica sapranno già che il menù propone portate eterogenee, ma tutte a base di un ingrediente comune: il riso. Nel provare a tracciare una mappa – non ordinata, né esaustiva – dei rapporti intrattenuti tra la SF e l’umorismo, abbiamo visto che in questo filone lo humour appaia spesso come una presenza accessoria, episodica, a tratti controcorrente. Non sempre però questa modalità rappresenta la regola fissa. Nei casi in cui l’ironia diventi un elemento portante e distintivo, può reclamare spazio dando vita a mondi complessi che si articolano in più storie.
Un ottimo esempio è un serial abbastanza fortunato da sopravvivere al suo stesso creatore, ovvero il ciclo di Douglas Adams, Guida galattica per gli autostoppisti.
Ideata per la BBC come programma radiofonico adattato poi per la televisione, la Guida è cresciuta e dal ’78 a oggi si è moltiplicata in una serie di romanzi formanti una “trilogia in cinque parti”. Logica composizione di un serial funambolico, fitto di personaggi, trovate e acrobazie linguistiche che vedono nel numero 42 la risposta alla “fondamentale domanda sulla vita, l’universo e tutto quanto”. Peccato che questa verità elaborata nei secoli dal supercomputer Pensiero profondo si riveli incomprensibile, perché nessuno sa a quale reale domanda si riferisca.
Arthur Dent, un timido e impacciato suddito inglese e l’extraterrestre Ford Prefect vagano dentro un universo demenziale dominato da forze ottuse e caotiche, accompagnati da figure sopra le righe come il bicefalo Zaphod Beeblebrox o il robot paranoico Marvin. Ancora una volta le loro disavventure sono improntate al tema del viaggio/fuga/naufragio, intrecciato a elementi esistenziali che richiamano i peripli del Signor Carmody di Sheckley. Su tutto, giganteggia la Guida, il bignami del viaggiatore spaziale che trova nello slogan “NON FATEVI PRENDERE DAL PANICO” la sintesi della propria filosofia. Un concetto esemplare della narrativa di Adams, che sposa la fantasia delle invenzioni all’uso dell’iperbole per esasperare o minimizzare l’oggetto in argomento, con effetti comici nella tradizione del grande umorista P. G. Wodehouse.
Dal primo libro del ciclo al conclusivo quinto volume, il lettore è trascinato in un tour de force di viaggi che comincia con la distruzione del pianeta Terra da parte dei grigi burocrati Vogon, fino alla sua ricomparsa e definitiva cancellazione in un universo parallelo. Un amalgama caricaturale arricchita di spunti satirici che irridono costume e società, sfociando nelle note amarognole e pessimiste dell’ultimo libro Praticamente innocuo.

colfer-eoin
E’ impossibile che un fiume in piena come la Guida si estinguesse con la fine prematura di Adams, per questo alla pentalogia ha fatto seguito un sesto libro, ad opera di Eoin Colfer, scrittore irlandese creatore del personaggio Artemis Fowl.
Pur essendo molto vicino allo spirito originario del ciclo, però, E un’altra cosa… non sembra aver soddisfatto pienamente i lettori. L’aspettativa creata dalla sua pubblicazione e il difficile confronto con Adams hanno lasciato spazio a pareri contrastanti, per la ridondanza di eventi non perfettamente orchestrati o forse per lo stile di Colfer, più a suo agio in narrazioni rivolte a un pubblico adolescente.

Dal lungo percorso di Douglas Adams e i suoi autostoppisti spaziali (epigoni di un fumetto di Castelli e Zeccara degli anni ’70), torniamo invece a un caso isolato, ma ben inseribile in questa galleria di narrativa a cavallo tra i generi.

Ci troviamo nel bizzarro mondo dell’underground per parlare della sortita di Philip Josè Farmer (sotto le mentite spoglie di Kilgore Trout) alle prese col delirio hippy di Venere sulla conchiglia.
Operazione a più contenuti, a partire dello stesso pseudonimo ispirato allo sgangherato scrittore di SF creato da Vonnegut, il romanzo è la trasposizione spaziale di una vicenda on-the-road, non lontana dallo spirito di film come “Easy Rider”.

Venus on the half shell
Il tema del viaggio come esperienza di formazione, la ricerca imperniata su quesiti esistenziali, l’irriverenza della presa in giro di politica e religione, sono le linee direttive delle vicende di Simon Wagstaff, un Gulliver del futuro in versione freak, alle prese con gli aspetti più caricaturali della nostra società.
Nello sfondo dissacrante del romanzo troviamo un mondo punitivo dai processi pachidermici, guru illuminati e antropofagi, creature folli e imbarazzanti, oltre a una reiterata promiscuità sessuale interspecie, elementi che hanno provocato la disapprovazione dell’ideatore di Trout, così poco entusiasta dell’omaggio Farmeriano da farne rimuovere il nome del suo personaggio dalla copertina. Una polemica deplorevole che comunque non ha intaccato l’interesse dei lettori intorno a questo pastiche, arrivato ai giorni nostri (magari con un po’ di affanno) alla sua nuova riedizione nelle pagine di Urania Collezione.

Nella trattazione di un genere già abbastanza anomalo per conto proprio, è giunto il momento di aprire una parentesi sull’opera di un grande eccentrico della SF, cioè Raphael Aloysius Lafferty, noto anche come “il vecchietto terribile di Tulsa”.
Questo ingegnere elettronico dalla vocazione tardiva inizia a scrivere a quarant’anni, in preda a un’astinenza da compagnie pittoresche contratta dopo aver smesso di frequentare i bar della propria città. In breve tempo, Lafferty avvia così una produzione di testi dallo storico al fantastico accomunati da modalità narrative inusuali, poliedriche, che vedono nella libertà affabulatoria la pasta sostanziale del suo raccontare.
Non disdegnando affatto l’uso del sarcasmo, l’autore dell’Oklahoma produce apologhi che lasciano più dubbi che certezze, facendosi beffe della ragione sulla scorta di una fantasia sbrigliata e orgogliosamente fuori dai canoni. Il piacere della propria “irregolarità” si evidenzia in numerosi racconti, come il divertente Buono a nulla, vincitore di un Hugo nel ’73, che tratta di un inetto geniale capace di costruire sofisticatissime macchine destinate a trasformare la società.
Anche i suoi romanzi attingono a temi che la rilettura personale, sempre colta e grottesca, rimodella in trame di difficile classificazione. Lo si può vedere negli scenari yankee de Le scogliere della Terra vicini alle province descritte da Mark Twain, oppure nelle demolizione dell’utopia operata da Maestro del passato.

cantata spaziale
Il suo primo lavoro lungo del ’68, Cantata spaziale, si misura addirittura con l’Odissea, riproponendone una propria vulgata attraverso le disavventure del capitano Roadstrum e del suo equipaggio. Il ritmo è movimentato e sulla falsariga omerica porta i suoi protagonisti in balia di Lotofagi, sirene e deità improbabili in un accumulo di episodi accesi da una pirotecnica abilità narrativa. E’ singolare che alla bizzarria del testo di Lafferty (uomo dalla fervente fede cattolica), la Ace Books abbia legato nella prima edizione i disegni di Vaughn Bodè, illustratore trasgressivo e grande esponente del mondo underground newyorkese.
Diavolo e acquasanta viaggiano insieme, dunque, in un connubio ambiguo in cui i due ruoli sembrano confondersi strizzando l’occhio a vicenda.

Per logica di contrasto, dopo le complessità e le stratificazioni Laffertiane, si ritorna su un versante più schiettamente farsesco con un popolo di orsetti alieni divenuto beniamino del pubblico, con decenni di anticipo sugli Ewoks di Guerre Stellari.
Sono le storie degli Hoka del pianeta Toka di Poul Anderson e Gordon Dickson, autori di SF molto lontani dai propri abituali registri narrativi da cui attingono temi e spunti con intenti parodistici.
Questi buffi esserini simili a innocui pelouches appaiono intelligenti e solerti, ma, come tanti Zelig, hanno la caratteristica di modellarsi intorno a ogni influenza letteraria o cinematografica con cui vengono in contatto.
E’ un tic che li porta di volta in volta a trasformarsi in cowboys del vecchio west, o in novelli Sherlock Holmes oppure in legionari dello spazio, trascinando i plenipotenziari loro aggregati dentro pasticci che rischiano di trasformarsi in catastrofi diplomatiche.

Hoka sapiens

Si tratta della variante umoristica del conflitto culturale, raccontato in chiave leggera dai due scrittori in una serie di racconti partita dall’originaria raccolta del 1957 Hoka sapiens (in originale Earthman’s Burden), ai successivi Hoka! e il romanzo Star Prince Charlie (1983) fino all’ultima ristampa Hokas pocas del 2000.
Un lungo percorso che ne testimonia la popolarità tra generazioni di lettori, dovuta a un bilanciato mix di trovate, uso disinvolto di archetipi narrativi e linguaggio brillante.
Coi loro exploit clowneschi, gli Hoka non hanno rivali in termini di simpatia nel campo della SF umoristica, è forse per questo che Dickson ne ha voluto replicare successivamente la portata comica, aumentandone volume e bellicosità nella variante etnica dei giganteschi orsi di Dilbia. Una scorsa al secondo romanzo del ciclo, L’artiglio della spazio del ’69, conferma ogni aspettativa tramite un plot movimentato fatto di incomprensioni, congiure e molte gag innestate su una struttura più avventurosa.
Anche spostata su galassie lontane, la vecchia, cara commedia degli equivoci non smette mai di divertire la sua platea.

Fabio Lastrucci



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