Immagine del GRB130831A presa con il Liverpool Telescope alle Canarie. La posizione dell’esplosione stellare, avvenuta a una distanza di circa 5 miliardi di anni luce, è indicata al centro dell’immagine. Per concessione della Università dei Paesi Baschi
Utilizzando in maniera combinata ben 13 diversi telescopi distribuiti in tutto il pianeta, un folto gruppo di ricercatori provenienti da istituzioni scientifiche di 19 paesi diversi, tra cui Cristiano Guidorzi dell’Università di Ferrara e Paolo D’Avanzo dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Brera, hanno analizzato un fenomeno raro: tre supernove da cui sono scaturiti altrettanti lampi di luce gamma (GRB, Gamma Ray Burst). I GRB sono brevissime esplosioni che rappresentano il fenomeno più energetico finora osservato nell’universo. Solo una decina d’anni fa gli astrofisici hanno maturato la convinzione che questi lampi siano legati ad alcuni tipi di esplosione di supernova. Tuttavia, benché ne vengano in media registrati due o tre al giorno, i GRB sono generalmente originati a distanze così lontane da rendere impossibile anche solo scorgere la supernova a cui sono collegati. In effetti, finora sono stati individuati solo un dozzina di casi, compresi i tre del nuovo studio, in cui si è potuto associare un GRB a una supernova.
«I lampi di raggi gamma di lunga durata (in media qualche decina di secondi) sono associati al collasso di stelle massicce che hanno perso precedentemente l’inviluppo esterno di idrogeno. Questo lo si è stabilito osservativamente dalle ancora relativamente poche supernove che è stato possibile studiare in concomitanza di GRB», ha confermato Guidorzi a Media INAF.
In questo tipo di studi i ricercatori vogliono capire quale sia il fenomeno fisico che dà origine al lampo di luce gamma. In altre parole, vogliono vedere alla moviola cosa succede quando una stella massiccia “muore”. Se il ciclo vitale di una stella fosse un film, molto probabilmente troveremmo le parti più spettacolari nella sequenza finale. Quella che per semplicità viene chiamata “morte” è in realtà un insieme di coup de théâtre e fuochi d’artificio cosmici, una scena madre che varia a seconda di grandezza ed “esperienza” (metallicità, la chiamerebbe prosaicamente un astrofisico) dell’attrice principale.
Se una stella è nata piccola o medio-piccola – come il nostro Sole e la maggior parte delle stelle nella Via Lattea – abbandonerà la scena in maniera relativamente tranquilla. Dopo qualche spasmo da gigante rossa, eventualmente seguito da artistici guizzi da nebulosa planetaria, lascerà infatti come unica rimembranza del suo fulgore un’inerme nana bianca. Stelle di questo tipo possono vivere (ovvero: bruciare) molto a lungo, attorno ai 10 miliardi di anni, prima di esaurirsi definitivamente. Ma per stelle massicce, con masse superiori a 8-10 masse solari, la storia è più complessa. Dopo una vita che arriva al massimo attorno ai 30 milioni di anni, le stelle di grande massa esplodono violentemente come supernove, lasciando come residuo una stella di neutroni o un buco nero. Un residuo tutt’altro che inerte che, in determinate condizioni, accende la miccia per la deflagrazione di un lampo di luce gamma.
Quali siano queste condizioni non è però, al momento, completamente chiarito. «A differenza di supernove analoghe ma senza GRB – spiega ancora Guidorzi – quelle dei GRB hanno finora mostrato velocità di espansione del gas significativamente maggiori: qualche decina di migliaia invece di qualche migliaio di km/s. Inoltre, quelle dei GRB sono caratterizzate da una quantità prodotta di nichel (il cui decadimento è la fonte di energia che alimenta l’esplosione degli strati esterni della stella progenitrice) significativamente maggiore di quelle senza GRB».
Il ricercatore italiano sottolinea che lo studio a cui ha partecipato, pubblicato su Astronomy & Astrophysics, da una parte ha confermato che davvero il nichel prodotto in queste supernove è maggiore di quello normalmente prodotto in supernove dello stesso tipo spettrale ma senza GRB; tuttavia, per una di queste tre supernove, ha anche curiosamente trovato che la velocità di espansione è più bassa di quella attesa. «Benché non si possa escludere una possibile spiegazione per questa anomalia – conclude Guidorzi – il quadro che emerge dai risultati di questo lavoro contribuisce ad arricchire la complessità del fenomeno legato al collasso di quella piccola frazione di stelle massicce che producono un lampo di raggi gamma».
Fonte: Media INAF | Scritto da Stefano Parisini