quando le cose non tornano più come prima

Creato il 21 dicembre 2014 da Plus1gmt

Non sapevo da che punto di vista prendere questa storia. Non sapevo se scriverla dalla voce della vittima, ma si sa che i morti non parlano e non dovrebbero farlo nemmeno nella letteratura, figuriamoci in un blog. I morti al massimo cantano le loro canzoni preferite proprio come Ricky, il cui unico vago ricordo che ho è proprio di lui che cerca di convincermi che Vasco Rossi ha una sua filosofia e probabilmente in quegli anni lì, era l’86, avrei potuto anche dargli ragione. Ho pensato scriverla come se a narrarla fosse Gemma, la sua ragazza che poi ragazza non era, perché se lui era a malapena maggiorenne lei ne aveva almeno dieci di più e aveva pure due gemelli piccoli a carico, in un quadro di realtà aumentata con padre volatilizzato alla notizia della gravidanza. Ma l’unica colpa che Gemma aveva era quella di aver consentito che uno studente della scuola in cui lei lavorava come impiegata le facesse la corte, quindi che entrasse nella sua vita in una relazione comunque seria e matura. L’unica colpa prima che Gemma insistesse affinché Ricky prendesse il suo Ciao per fare prima a tornare a casa e prima a raggiungerla dopo cena, considerando la coda interminabile in cui, in macchina o con l’autobus, si sarebbe imbattuto lungo la strada costiera a picco sul mare. Avete capito l’epilogo anche se non siamo nemmeno a metà. Probabilmente con l’intento di evitare un ostacolo, Ricky compie una manovra avventata e finisce sugli scogli, giù dalla scarpata.

Ho pensato anche che poteva essere un buon approccio narrativo raccontarla dalla voce degli adulti che camminavano lenti davanti a me al funerale. La mamma e il papà di Ricky, che avevano cercato di osteggiare quella relazione sproporzionata per un figlio scavezzacollo come il loro che aveva trovato un freno alla sua turbolenza proprio da quando stava in quella storia che, per la sua natura, imponeva necessariamente un certo grado di serietà, e Ricky voleva esserne all’altezza. Ma parlare con la voce dei genitori che hanno perso un figlio è troppo difficile e, da padre, non ci voglio nemmeno pensare.

Di certo devo evitare di scriverla come se a farlo fosse Alex, il migliore amico che però poi ha scoperto proprio lì che per lui si trattava molto di più di un’amicizia. Alex si era innamorato di Ricky e ancora oggi non sa dirmi come, quando e dove, ma di certo sa che è successo tutte le volte che gli capita nel campo visivo la foto di loro due insieme al mare che ha appeso sulla parete più importante di tutte le case in cui ha abitato. Posso immaginare come dev’essere stato tenere compresso tutto quel sentimento e quella emozione in tempi e posti in cui dichiararsi omosessuali era peggio che essere scoperti a farsi le pere in un vicolo del centro storico. Per fortuna poi Alex, conseguita la laurea, è scappato in uno di quei paesi in cui quello che fai dentro e fuori le lenzuola del tuo letto non interessa a nessuno.

Alla fine così ho fatto una veloce ricerca su Google per capire se da qualche parte ci fosse qualche traccia di Ricky, anche se so che il suo incidente è capitato molto prima dell’avvento di Internet. Ho trovato però un’intervista di qualche anno fa in un quotidiano locale a un insegnante, uno di quelli conosciuti da tutti al paese, un professore alle soglie della pensione che risponde a domande sulle emozioni a fine carriera. Il giornalista gli chiede, a fine articolo, quale sia stato il momento più difficile della sua vita nella scuola, e tra tante cose che quel professore deve aver visto – gli anni sessanta, poi i settanta, le contestazioni, la droga, il terrorismo e tutto il resto – tra tutte le cose che uno pensa che restino a un insegnante che tira i remi in barca, lui ha ricordato proprio la morte di Ricky e il momento di dolore che la comunità che comprende tutte le voci che hanno contribuito a costruire questo racconto ha attraversato. Ecco, credo che se dovessi raccontare questa storia in un blog, probabilmente farei finta di essere il professore di Ricky e cercherei di trasmettere nella storia quell’affetto che talvolta non si vede ma che lega indissolubilmente gli insegnanti ai loro studenti.



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