Quando manca il diritto al dolore

Da Brunougolini

 C'è anche il diritto al dolore. Non per tutti. Capita di leggere ogni giorno di ragazzi e ragazze, ma anche di maturi quarantenni, costretti a passare da un lavoro all'altro. Senza ferie, senza giorni di malattia pagati, senza mutui da poter disporre per mettere su casa. Ora scopriamo l'impossibilità del dolore. Lo ha raccontato un padre, in una lettera al “Corriere della Sera”. Il figlio di 26 anni è uno di quelli che lavorano con contratti rinnovati di mese in mese. Un atipico, un precario. Tira avanti così dall’agosto dello scorso anno. 
Ed ecco che gli muore un caro amico. Il giovane però non potrà partecipare ai funerali, esprimere il proprio dolore. Racconta il padre: “anche chiedere un giorno di permesso all’approssimarsi della periodica scadenza mensile del contratto può precludere la possibilità che questo gli venga rinnovato”. E’ indignato il padre per questa perdita di diritti “anche i più elementari e umani”. Il suo sfogo non tralascia i sindacati accusati di occuparsi sempre delle solite grandi aziende che lui considera “supertutelate”. Forse allude alla Fiat di Pomigliano dove a dire il vero non si può proprio parlare di supertutela. Mentre appare giusto l’invito “a pensare a questa enorme massa d’invisibili che vivono nella precarietà più assoluta e nelle vessazioni senza poter fare un progetto di vita. Altro che bamboccioni”. 
Una testimonianza che dimostra come l’offensiva di governo e Confindustria, ostacolata purtroppo dalla sola Cgil, riesca a introdurre seri elementi di divisione tra i presunti protetti e i non protetti, ponendo gli uni contro gli altri. Magari  sostenendo che per favorire gli uni bisognerebbe togliere qualcosa agli altri. 
Capita però di sentire porre sotto accusa (a sinistra) i teorici della flessibilità sicura, quella ricca di tutele, quella che esiste in altri Paesi del Nord Europa e non in Italia.  Tale accusa parte dalla convinzione che tutte le ragazze e i ragazzi d’oggi desiderino solo un posto fisso, eguale per tutta la vita, e non un lavoro in qualche modo con spazi di autonomia e creatività, ma anche con tutele e diritti. Non stiamo parlando dei precari di Pomigliano (c’erano anche loro) ma dei tanti nel mondo dei lavori con tutta probabilità simili a quel ventiseienne protagonista della lettera al Corriere. E’ facile incontrarne tanti come lui. Non credo che sognino di poter timbrare tutti i giorni il cosiddetto “cartellino”, di rimanere in un’azienda che assicuri una permanenza senza fine a fare sempre lo stesso tipo di lavoro. Non credo sognino il ritorno al fordismo per tutti. E comunque nell’attesa che le cose cambino non si potrebbe perlomeno impedire che i contratti durino spazi di tempo brevissimi e che non ci sia nemmeno il permesso di partecipare a un funerale? 
http://ugolini.blogspot.com/

foto: flickr


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