Nel 2006, Prodi fece un viaggio-lampo a Mosca per concludere un grosso affare. Ma Wikileaks non c’era ancora. Nel 2008, Putin ha offerto a Prodi la presidenza di Southstream
MOSCA – L’accordo ENI-Gazprom lo stava facendo Berlusconi: misteriosi bastoni tra le ruote, nel consiglio d’amministrazione dell’ente, l’hanno liquidato, o meglio ritardato fino alle elezioni e al cambio di regime a Roma. Ora si capisce perché: l’accordo lo doveva fare Prodi.
Perché è un buon accordo, bilaterale, da Stato a Stato e non abbandonato al «libero mercato», secondo la tradizionale politica italiana – alla Mattei, da quel che si può capire.
«Le nostre relazioni nel campo dell’energia non sono più quelle tra venditore e cliente», ha detto Prodi all’uscita dal Cremlino: «ora si tratta della presenza italiana sul mercato russo e della presenza russa sul mercato italiano».
Dal canto suo,
Putin ha annunciato che Mosca osserverà l’Energy Charter (vedi sotto) «nei riguardi dell’Italia» (sottinteso: esclusi gli altri) senza nemmeno che il parlamento russo lo approvi.La cosa ha stupito non poco Andrey Kolesnikov, il giornalista di Kommersant esperto del settore, che da settimane aveva sentito Putin e i suoi scagliarsi contro l’Energy Charter come «un documento che discrimina la Russia» e «in contrasto con il concetto russo di sicurezza energetica».
E la cosa si spiega: stipulato nel ’91 e firmato a Lisbona nel ’94, ossia negli anni di Eltsin e del saccheggio occidentale delle risorse russe (sotto il nome di «privatizzazioni e liberalizzazioni»), l’Energy Charter è il trattato che la Casa Bianca e i suoi maggiordomi europei (Barroso e Solana fra i primi) usano per criticare la mancata privatizzazione della Gazprom, il mancato accesso occidentale agli oleodotti russi, e in generale il fatto che Putin usi gas e greggio non come una merce, ma come un’arma strategica.
Inoltre, viene usato per rafforzare l’Ucraina ostile – e Paese di transito – di fronte alla Russia. Sicchè Putin non l’ha ratificato fino ad oggi. Né adesso Putin ha cambiato politica, anzi: proclamando che osserva l’Energy Charter, ma solo verso chi pare a lui, conferma in pieno l’uso politico dell’energia.
Prodi ha aperto a Gazprom il mercato italiano della distribuzione (il cosiddetto downstream), cosa che gli eurocrati non volevano concedere non essendo Gazprom una ditta privata; in cambio, Putin dà all’ENI l’accesso allo sviluppo dei campi di gas in Russia, dai quali ha tenuto fuori le «sorelle» anglo-americane. Una lezione per tutti gli altri aspiranti.
Infatti Putin ha sottolineato che la stessa cooperazione è possibile con qualunque altro Paese «che ci venga incontro e tratti su basi paritarie». Ed ha poi ripetuto: «siamo pronti ad osservarlo [il Charter] ma non per chiunque, solo per chi ci considera partner uguali». Per ora solo l’ENI e la tedesca BASF hanno aperto i rispettivi mercati interni a Gazprom.
Prodi non si è fermato a questo. Ha fatto un grosso regalo politico a Putin con una semplice frase: «Ci preoccupa che l’Ucraina non pompi il gas russo nei suoi serbatoi sotterranei; vorremmo evitare i rischi corsi l’inverno scorso; faremo il possibile perché i serbatoi siano riempiti e possiamo affrontare il prossimo inverno con calma».
Come si ricorderà , nel gelido gennaio scorso Gazprom chiuse i rubinetti all’Ucraina che non solo pagava il gas russo molto al disotto dei prezzi di mercato, ma lo rubava a man bassa, non facendone transitare abbastanza ai clienti europei occidentali. Di questo incidente, gli eurocrati e Washington hanno dato sempre la colpa a Mosca (anche se a rubare era Kiew); ora dunque Prodi è parso rimproverare all’Ucraina di non costituirsi riserve per l’inverno, con la chiara intenzione di continuare a spillare dai gasdotti, venuto il freddo, il gas destinato da Mosca all’Europa occidentale.
Inoltre, Prodi e Putin sono apparsi molto vicini sulla questione del nucleare iraniano.
«Per l’Italia, l’Iran è un partner commerciale primario», ha detto il nostro. E Putin: «terremo presente la posizione italiana nel corso dei negoziati» con l’Iran, che la Russia sta conducendo con cinque membri (ma non l’Italia) della UE.
Questo atteggiamento non solo contrasta coi diktat di Washington («isolare la Russia», «bombardare l’Iran»), ma contraddice nei fatti la proclamata intenzione prodiana di «ridare vita al progetto europeo», visto che l’accordo è di tipo bilaterale e scavalca Bruxelles. E’ tuttavia un accordo realistico, che segue quello tedesco, basato sulla constatazione che l’Europa dipende da Gazprom per un quarto delle sue forniture energetiche e ne dipenderà sempre più.
Non basta. Putin ha consentito a Finmeccanica di acquisire il 25 % con la Sukhoi Civil Aircraft: ciò in aperta contravvenzione con le norme, volute dallo stesso Putin, che limitano la partecipazione di capitale straniero nell’industria aeronautica russa, giustamente considerata strategica. Le due imprese dovrebbero costruire insieme un aereo civile a medio raggio, detto Russia Regional Jet, inteso a sostituire il Tu-134 per il 2008. Il contratto vale 1,5 miliardi di dollari; nella cifra va compreso lo sviluppo del nuovo motore aereo SaM 146, che è russo-francese. Sarà la Alenia, sussidiaria di Finmeccanica, ad acquisire la quota del 25% della Sukhoi Civil Aircraft dalla «holding» Sukhoi, che è al 96% azienda di Stato.
I giornali russi hanno ricordato che Finmeccanica è uno dei più grandi produttori europei di aerei militari e civili. E’ un buon accordo anche questo. Non solo assicura un futuro ad una delle nostre scarse isole di eccellenza e di competenza, ma può configurare qualcosa come una relazione speciale Roma-Mosca, come anche da noi modestamente auspicato.
Resta la domanda perché un tale accordo non ha potuto farlo Berlusconi, tanto “amico di Putin”.
E’ facile accusare la sua politica troppo filo-americana, e l’eccessivo numero di “americani” nel suo governo (da Martino a Fini). Ci risulta che l’accordo ENI-Gazprom, vicinissimo, sia stato mandato a monte per un motivo difficile da dire: tali accordi energetici comportano succose tangenti di mediazione quasi-legali, pudicamente chiamate “provvigioni”, “commissioni” e “sovraccosti” – il costo irrisorio all’inizio aumenta ad ogni snodo dei gasdotti, e specialmente nella distribuzione downstream al dettaglio, come appunto potrà fare in Italia Gazprom.
Un nostro informatore molto esperto del settore parla di “fiumi di denaro che vanno a ingrassare qualcuno“. Evidentemente, è stato deciso che quel “qualcuno” non doveva essere vicino al Polo.
Nulla di irregolare, ci affrettiamo a dire. Tanto più che nessuna intercettazione giudiziaria verrà mai a disturbare quest’ottimo affare di sinistra-centro.
Può essere utile notare che Prodi e Putin e i loro uomini hanno deciso un’altra cosa: una banca d’affari italo-russa per la promozione delle relazioni economiche fra i due Paesi. Prenderanno parte al progetto imprese come Generali, ENEL, Finmeccanica e Indesit – già ampiamente impegnate sul mercato russo – coordinate, udite udite, da Banca Intesa, ossia da Passera e da Bazoli. I due finanzieri molto filo-prodiani. Da parte russa, il partner sarà la Vneshekonobank, anch’essa azienda di Stato.
Maurizio Blondet
(articolo pubblicato su EFFEDIEFFE.com il 22 giugno 2006)