Magazine Diario personale

Quando raccontai tutto ai nonni.

Da Romina @CodicediHodgkin
lunedì, 13 giugno 2011

Quando raccontai tutto ai nonni.

Nel 2005, la mia famiglia era ancora piuttosto numerosa. Abitavo con i miei genitori, mio fratello e i miei nonni materni.
Quando venni ricoverata, i miei nonni stavano trascorrendo un periodo di vacanza con il fratello di mia madre nella sua casa in montagna. Decidemmo tutti di non raccontare nulla a nonno e nonna finchè non fossimo stati certi della diagnosi e della terapia da seguire.

Quando nonna telefonava a casa e chiedeva di me, mamma le raccontava un mucchio di balle tipo "E'uscita con il fidanzato" oppure "sta studiando a casa di un'amica". Quando chiamava me sul cellulare, cercavo di stare al telefono il meno possibile e di non darle a intendere che qualcosa non andava. Cercavo di tagliar corto perchè avevo il terrore che da un momento all'altro partisse l'interfono del reparto. "Dlin-dlon, il Dott. Pinco Pallino è desiderato in medicheria"...a quel punto cosa avrei mai potuto inventare per giustificare una cosa simile?! Il fatto è che mia nonna, esattamente come mia madre, ha il lie-detector incorporato, non si sfuggiva.

Fortunatamente, fummo tutti piuttosto bravi e la mia interpretazione della Balda Giovinetta era, onestamente, da oscar. I nonni iniziarono a insospettirsi solo quando li costringemmo a prolungare il loro soggiorno a casa di mio zio con una scusa. Raccontammo loro che a Roma faceva ancora veramente troppo caldo e che il clima non andava affatto bene per il cuore di nonno. Volevamo farli tornare solo dopo la mia prima chemio, tanto per avere un'idea di come sarebbe stata la faccenda.

Dirlo a nonno e nonna era l'unica l'unico pensiero che mi dava il tormento. Più ancora che le cure non potessero funzionare, avevo paura che la notizia li avrebbe uccisi. Nonno e nonna per me sono stati due pilastri. Il mio amore per loro è grandissimo e nonno mi manca ogni giorno. In ospedale mi diedero la possibilità di parlare con una psicologa. Parlai con lei solo due volte. La trovavo insopportabile, voleva per forza che io dicessi che ero arrabbiata per quello che mi era capitato. Figuratevi se dopo 8/9 mesi di sintomi sfiancanti avevo la voglia di essere arrabbiata proprio quando avevamo capito tutto! Possibile che non lo capisse? Tant'è, prima di mandarla a quel paese, mi feci consigliare da lei il modo migliore per dire ai miei nonni che avevo il cancro.

Fu un'esperienza ai limiti del ridicolo. Mi costrinse a parlare con due sedie vuote. Le mise lì davanti a me e mi disse "fai finta che seduti lì ci sono i tuoi nonni e fammi vedere come gli comunicheresti la notizia.". Onestamente, non vedevo proprio perchè fosse necessaria quella pantomima quando si poteva trovare una soluzione parlando io e lei...poi, però, mi fu presto chiaro: le sedie erano degli interlocutori infinitamente migliori di lei. Fatto sta che mi feci la mia chiacchieratina con le due sedie e lasciai perdere le sedute con la psicologa. Lei non voleva una paziente come me: voleva qualcuno che fosse arrabbiato e io non la potevo aiutare. O quasi. Le affidai mia madre, che se prima di parlare con lei era solo arrabbiata, dopo era completamente e assolutamente incazzata.

I miei nonni tornarono qualche giorno dopo la mia prima chemio. Il momento era arrivato. Dovevo dire loro la verità. Il fratello di mia madre si offrì di parlargli al posto mio. Io lo trovai assolutamente irrispettoso, senza contare che sarebbe solo servito a far credere ai nonni che era stato il fratello di mia madre a parlare con loro perchè io non sapevo tutta la verità.

Ricordo ancora quel momento. Era il tardo pomeriggio di un sabato. Avevo portato lo specchio e i trucchi sul tavolo basso del salotto, mi ero seduta per terra e avevo iniziato a truccarmi. Nonno e nonna erano seduti sulle loro poltrone. Con grande indifferenza e tono leggero dissi:
"Ah, non vi ho aggiornati su alcune cose. Sapete che abbiamo capito perchè avevo sempre prurito e tosse?"
Nonno, che era un uomo estremamente intelligente e capiva al volo le situazioni, cogliendo anche le più piccole sfumatore della voce, si rabbuiò immediatamente. Lui aveva già paventato l'ipotesi che tutta quella tosse potesse dipendere da un tumore ed era stato deriso. Nonna è una che pensa sempre al peggio, se andavo a buttare la spazzatura e ci mettevo più di un minuto, dava per scontato che tardavo perchè ero stata rapita, uccisa, fatta a pezzi, messa dentro una valigia e buttata nel Tevere. In quell'occasione, però, non pensò nulla di male. Ero lì, davanti a lei, e sembravo il ritratto della salute, non c'era motivo di allarmarsi.
Ripresi a parlare:
"Sono stata da alcuni medici. Ho fatto delle analsi, una tac, qualche controllo. I miei linfonodi hanno un problema. E'per quello che sto male."
Nonno non parlava. Io ero lì, con la mia migliore faccia da culo e un sorriso maliardo a metà tra la gioconda e il delfino del galak, eppure lui aveva capito tutto ancora prima che parlassi. Non è facile dire che hai il cancro non potendo usare quella parola.

Voi sapete bene che io odio i giri di parole che evitano di pronunciare la parola "cancro". In quel caso, però, era inevitabile. Nel 2005 nonno aveva 84 anni e nonna 79. La parola "cancro" per loro implicava necessariamente la morte, non potevo pronunciarla, non in quel momento, almeno.  Parlai di "cure molto fastidiose" ma non di chemioterapia.

Nonna sembrava sollevata. Pensava che fosse un disturbo banale che sarebbe passato con qualche puntura. Non so se proprio non aveva capito o mentiva a sè stessa raccontandosi che tutto si sarebbe risolto facilmente.
Nonno, invece, aveva perfettamente chiara la situazione. Mi conosceva come nessun altro. Stava seduto sulla sua poltrona, rigido. Con la mano sinistra si copriva gli occhi. Nonna continuava a fare domande e io rispondevo col sorriso e grande energia. Un atteggiamento del genere, nonna non lo poteva collegare al cancro. Io le stavo raccontando la verità ma il fatto che non avessi pronunciato le fatidiche paroline "tumore" o "cancro. Parlai di linfoma sapendo che tanto non lo conoscevano, ma non era assolutamente il momento di parlare di cancro. Non a due vecchietti, di cui uno cardiopatico, che mi adoravano e cui stavo per spezzare il cuore. Penso che sia stata la parte più difficile di tutta la mia esperienza. Dirlo a nonno e nonna ha richiesto tutte le mie energie.

Ad un tratto, mentre nonna mi riempiva di domande e io rispondevo come se stessi giocando a taboo - quindi senza dire le paroline chiave - nonno sbottò.
Si raddrizzò di colpo e gridò contro nonna.
"MA NON LO CAPISCI COS'HA DETTO? HA UN TUMORE, STUPIDA!".
Nonno era di buon carattere, un vero pezzo di pane, una persona con una sensibilità incredibile, ma quando soffriva per qualcosa sapeva diventare veramente crudo. Nonna non sapeva dove guardare.
Guardava nonno e cercava di collegare quello che aveva detto con me. Le sembravo troppo in salute per essere malata di tumore. Il suo sguardo schizzava da nonno a me e da me a nonno. Ricordo che mamma era sulla soglia della cucina e non parlava. Le avevo fatto promettere che avrebbe fatto parlare me - era compito mio - ma non era per quello che non parlava. Era straziata e preoccupata. Anche se avesse voluto dire qualcosa, non ci sarebbe riuscita. 

A me veniva da piangere. Avrei dato qualsiasi cosa per scoppiare in lacrime ma non potevo. Non potevo e basta. Se fossi crollata io, sarebbero crollati anche loro. La faccenda era già abbastanza difficile senza addolorare i nonni più di quanto era inevitabile.
Nonna mi guardò e mi disse:
"E'vero?"
Io mi limitai a fare segno di si con la testa. Avevo il groppo in gola e le lacrime agli occhi. Nonna pensò che mi veniva da piangere per me stessa. In realtà, non stavo pensando a me, ero dispiaciuta per loro. Non volevo dare un dispiacere così grande a due persone come loro.
Nonna si mise a piangere.
"Muori?"
Sorrisi. "No, nonna, non muoio, te lo prometto".
Lei non era convinta. Mi supplicò di non nasconderle neanche una briciola della verità. Le promisi che le avrei raccontato tutto e così feci. D'altra parte, vivevano con noi, non potevo certo nascondergli che facevo chemioterapia...
Nonno sembrava un pò più tranquillo, ma comunque non parlava. Raccontai tutto ricominciando a truccarmi, per dare una parvenza di normalità a quella conversazione assurda. Ad un tratto chiusi la sacchettina dei trucchi e chiusi la conversazione dicendo:
"ora, con permesso, ho un appuntamento e devo andare al cinema!".
Una parte di me avrebbe voluto rimanere a casa con loro. L'altra no. Tanto per cominciare, non sarei riucita a sostenere lo sguardo di nonno. Era stata una bella botta anche per me. Poi dovevo dare loro la prova che potevo condurre una vita abbastanza normale. Inoltre, sapevo che avrebbero voluto rimanere soli a quattr'occhi con mamma per sapere se c'era qualcosa che io non sapevo e lei si.

Il fatto di vedermi sempre abbastanza serena aiutò nonno e nonna a scendere quasi a patti con la mia malattia. Nonna, a tutt'oggi, non vuole sentir pronunciare la parola "tumore" ed è assolutamente certa che il fatto che io sia viva, implichi necessariamente che la malattia era benigna. Si tiene costantemente aggiornata sulle mie visite di follow-up e assolutamente non si fida quando le dico che va tutto bene. D'altra parte fa bene a non fidarsi: lei sa che le ho mentito una volta, ma non sa che le ho detto un sacco di bugie anche nel 2008, quando venni di nuovo ricoverata per via del timoma...mi rendo conto che la mia parola non è sempre esattamente affidabile!

Nonno,dopo due o tre giorni di mutismo, riprese a comportarsi normalmente e iniziò a pregare il triplo di prima. Col tempo, tornò anche il suo senso dell'umorismo. La sua fede incrollabile lo aveva convinto che, anche se proprio non apprezzava la scelta del Dio cui tanto si affidava da sempre, se mi ero ammalata un motivo doveva esserci e quindi c'era poco da sbattersi. Alla fine mi prendeva in giro anche lui.

Quando facevo i fattori di crescita e le ossa mi facevano male, nonno mi prendeva in giro perchè ero ridotta peggio di lui che di anni ne aveva 84. A volte sghignazzava dicendo che ero più lenta di lui a tirarmi su dal divano e che rispetto a me si sentiva un giovanottoQuando raccontai tutto ai nonni..
Io facevo l'offesa e andavo a preparare il tè per tutti e due...

Alla fine, nonno e nonna si sono dimostrati forti.
So quanto gli è costato cercare di vivere con normalità la situazione ma li ringrazio enormemente perchè se fossero crollati loro, io proprio non so cosa avrei fatto...


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