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Quando vengono rispettate solo le regole non scritte

Creato il 27 maggio 2013 da Mbrignolo

P1070123L’OPINIONE. C’è un odore acre che resta sul prato dell’Olimpico, odore di sconfitta, di un’occasione enorme gettata al vento. C’è un rammarico, immenso, nato molto prima del triplice fischio con cui Orsato ha consegnato alla Lazio la sua sesta Coppa Italia, o Tim Cup, come oramai le leggi del marketing ci impongono di chiamarla.

E’ un rammarico maturato in ore, giorni, settimane di chiacchiere, di voci, di notizie, un epilogo che probabilmente era annunciato ma che, per noi indomiti sognatori, auspicavamo venisse ribaltato con 90 minuti di follia, quella sana però, quella che fa riappacificare con tutto quanto di buono possa regalare una partita di pallone.
Non è stato così. Il derby della Capitale è iniziato settimane fa, più precisamente il 17 aprile scorso, quando la Roma ha raggiunto la Lazio all’atto finale di una competizione che anche e soprattutto grazie a queste due squadre avrebbe assunto, dopo tempo immemore, un ritrovato prestigio.
Da quella sera si è entrati in un vortice tremendo di vergognose polemiche cui nessuno è riuscito a mettere un freno. Dapprima la data della partita, in concomitanza con le elezioni comunali, poi l’orario del fischio d’inizio, con il veto del prefetto a disputare la gara in notturna; la tensione acuita poi dal posizionamento in campionato di entrambe le squadre, ambedue fuori dalle competizioni europee e appese all’esito della finale per garantirsi l’ingresso dalla porta secondaria. E che dire delle minacce pervenute in via privata alla squadra biancoceleste, con la denuncia in conferenza stampa, gli scontri – per fortuna con conseguenze non gravi – durante l’avvicinamento al match… Insomma, l’ennesima brutta storia che va ad aggiungersi a tante altre che costellano il nostro calcio.
Il sogno, come detto, era riposto sul rettangolo verde, su una legge cui, nonostante la contraddittorietà degli ultimi anni, stavolta guardavamo davvero come un appiglio: lasciar parlare il campo.
Speranze vane. La sfida tra Roma e Lazio è stato quanto di più insignificante la tecnica potesse mettere in mostra. Certo, siamo in Italia, trionfano i tatticismi, ma deve durare per sempre questa regola non scritta? Sì sì, ovvio, la posta in palio era alta, ma guarda caso nemmeno 24 ore prima abbiamo visto tutt’altro spettacolo fra due squadre che si giocavano la Champions, non la coppa del nonno!

Ciononostante, il fallimento vero e proprio si è verificato al termine della gara.
La scena patetica, tra le mille scene patetiche dell’annata, di Osvaldo a fine gara oltrepassa i limiti comprensibili dell’amarezza. La replica e controreplica alle quali ci hanno sottoposto l’attaccante italo-argentino e Andreazzoli questa mattina sfiorano il bisbetismo. Modi, parole, tempi completamente sbagliati, simbolo di un’altra stagione vissuta a Trigoria su una zattera troppe volte lasciata in balia del mare nonostante alla dirigenza le figure non manchino, anzi.
Scene spiacevoli, come, dal fronte opposto, è stata spiacevole la scelta di permettere a Stefano Mauri di vestire la fascia da capitano e alzare al cielo l’ambita Coppa quando il suo nome è a tutt’oggi iscritto nel registro degli indagati di ben due procure (Berna e Cremona): colpevole o non colpevole, avremmo preferito che al suo posto ci fosse stato un volto mai nemmeno mischiatosi con la parola reato.

(Non) Termina così l’ennesimo Roma-Lazio da dimenticare, con i giallorossi alle prese con una nuova rifondazione, le schermaglie dialettiche che arrivano sino al ritiro della Nazionale, gente che fra un mese potrebbe essere punita e squalificata ma che ha alzato al cielo la coppa giocando tutta la stagione, con indagini riguardanti le minacce della vigilia che proseguono, e che invece terminano con 8 arresti per quanto concerne gli scontri del pre-partita.

L’aquila vola alta nel cielo di Roma, sul terreno di gioco rimane invece l’odore acre di un calcio giunto a una sconfitta, l’ennesima, che oggi fa ancora più male e che nemmeno il lento scorrere del Tevere riesce a portarsi via.


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