Poche occasioni, come la giornata odierna, offrono a questo Paese l’opportunità di esibire due tra le caratteristiche più tipiche del proprio carattere nazionale: la retorica e l’ipocrisia.
L’occasione è quella del ricordo del 27 gennaio 1945, giorno in cui le truppe dell’Armata Rossa fecero il loro ingresso nel campo di concentramento nazista di Auschwitz (il primo novembre 2005 le Nazioni Unite hanno designato la giornata del 27 gennaio “giorno internazionale di commemorazione”, in memoria delle vittime dell’Olocausto).
Quello che trovo insopportabile, indecente, è che a fare a gara, in un modo francamente penoso, nel ricordare quella data sia il Paese che non solo è stato il principale alleato dei nazisti (particolare che si tende a dimenticare) ma che continua ad avere, all’interno delle proprie istituzioni (e non in posizioni marginali) personaggi portatori di quella cultura che ha consentito che nascesse il fascismo e che questo si sviluppasse e si insediasse nel cuore dello Stato.
E come se ciò non bastasse, è arrivato al punto di avere come ministri personaggi che non solo provenivano da quel mondo ma che hanno sempre rivendicato con orgoglio le loro radici, non trovandovi alcuna controindicazione col far parte di istituzioni di una Repubblica fondata sull’antifascismo (evidentemente solo a parole, visto che anche da parte dei custodi delle istituzioni di questo Paese non è stata notata alcuna contraddizione al riguardo).
La cruda realtà è che gran parte degli italiani, anche di quelli che, dopo la risoluzione delle Nazioni Unite del 2005, ricordano l’anniversario della liberazione del campo della morte di Auschwitz, non ha mai smesso di essere quella che è, sempre alla ricerca di un “ducetto” che la guidi, che la deresponsabilizzi, sempre pronta a chiedere di “buttar fuori” quelli che non le piacciono, sempre pronta ad applaudire un “ducetto”.
Non c’è nessuna celebrazione, per quanto popolare, che possa cancellare il comportamento, documentato, tenuto da tanti italiani nei confronti degli ebrei, non c’è mito “italiani brava gente”, per quanto radicato nella cultura popolare di questo Paese, che possa cancellare i rastrellamenti o la presenza di campi di sterminio anche nel territorio italiano.
Gli episodi, che pure ci furono, di protezione degli ebrei non possono cancellare la persecuzione contro esseri umani (solo perché appartenenti alla “razza ebraica”), persecuzione diventata ancora più feroce dopo l’8 settembre 1943, vera data spartiacque.
Non possono cancellare le “folle plaudenti” le vergognose leggi razziali del 1938, in applicazione delle quali dalle università italiane furono espulsi i docenti di religione ebraica.
Tutto questo non è accaduto secoli fa e, soprattutto, non è accaduto in un luogo diverso dal cosiddetto “Bel Paese”, il cui concime non cambia: se ieri ha fatto nascere uno che arringava le folle parlando affacciato ad un balcone, oggi ha fatto nascere personaggi che per comunicare con le folle ricorrono all’uso della moderna tecnologia.
Ma la folla è sempre la stessa, in attesa, bisognosa, del “ducetto” di turno.
Che credibilità possono mai avere le istituzioni di questo Paese in occasioni come la giornata odierna, dedicata al ricordo di certi tragici fatti “per non dimenticare”, se sono piene di personaggi portatori di una cultura che è all’origine di quei fatti?
Considerate se questo è un uomo, ha scritto Primo Levi.
Non considerava, Primo Levi, che l’uomo è anche questo.