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Quanti psichiatri si ricordano dello “Studio 329” della GlaxoSmithKline?

Da Psiconauta

Lo Studio 329 è un clinical trial condotto negli Stati Uniti dal 1994 al 1998 per testare l'efficacia della paroxetina (un SSRI introdotto sul mercato nel 1991 dalla SmithKline Beecham, industria farmaceutica adesso divenuta GlaxoSmithKline) sugli adolescenti affetti da depressione. La paroxetina ha fruttato alla GlaxoSmithKline guadagni stimati per 11.6 miliardi di dollari tra il 1997 ed il 2006. Il trial condotto da Martin Keller, professore di psichiatria alla Brown University, divenne tristemente famoso quando si scoprì che l'articolo che esponeva i risultati pubblicato su Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry ( JAACAP) sottostimava nettamente gli effetti collaterali rilevati ed era stato curato da ghostwriters della Scientific Therapeutics Information (STI), una compagnia di Springfield, pagata dalla GlaxoSmithKline (vedere, per curiosità, la questione degli articoli medici " ghostwritten " su Wikipedia). In estrema sintesi dallo Studio 329 sarebbe emerso che la paroxetina poteva indurre idee suicidarie e alterazioni del comportamento negli adolescenti e che non poteva essere giudicata efficace nel trattamento dei sintomi depressivi mentre invece quello che venne pubblicato su JAACAP fu che la paroxetina era efficace nei giovani pazienti e che sarebbe stata sicura. Il New Scientist scrisse nel 2015: "You may never have heard of it, but Study 329 changed medicine." Il più recente studio di rianalisi del vecchio 329 pubblicato su BMJ afferma con forza che né paroxetina, né imipramina hanno dimostrato efficacia per la depressione maggiore negli adolescenti, e c'è stato un aumento di pericolo con entrambi i farmaci rispetto a suicidio ed anomalie di comportamento. Il messaggio che la comunità scientifica ha imparato da questa triste esperienza è che l'accesso ai dati primari provenienti dai vari clinica trials (i cosiddetti Open Data) ha importanti implicazioni sia per la pratica clinica che per quella di ricerca, e che una singola pubblicazione circa l'efficacia e la sicurezza di un farmaco non deve essere mai giudicata come autorevole o definitiva. Una medicina basata sulle evidenze inizia anche da queste considerazioni e riletture dei grandi sbagli del passato.


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