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Quanto vale la Musica che acquistiamo?

Creato il 23 settembre 2012 da 79deadman @79deadman

Quanto vale la Musica che acquistiamo?
Un esperimento che chiunque può fare; serve circa un’ ora di tempo, un computer ed una connessione decente. Scegliete 10 album; quelli che vi pare; io li ho scelti alquanto a caso, tra titoli molto noti, cercando di distribuirli su un arco temporale di una quarantina d’anni. Prendete un foglio Excel e fatevi una tabella. Poi battete un po’ il web alla ricerca dei prezzi migliori per i vostri album. Io mi sono limitato ad I-Tunes e a quattro negozi Amazon: USA, Germania, Inghilterra e Italia. Ammetto di essere partito con un certo preconcetto per questa ricerchina; ma c’era qualcosa che non mi tornava e volevo cercare un approccio un po’ più scientifico al problema. I dubbi mi sono rimasti…anzi.
Considerazioni a monte: I-Tunes non vende oggetti fisici, vende informazione, o meglio “servizi”; sullo store io posso scaricare, da un server direttamente sul mio computer, album, canzoni, compilation in formato mp3, lo sappiamo tutti ormai. Io pago per ottenere in cambio uno o più files. Amazon (e tutti gli “analoghi”) vende anche oggetti, almeno in alcune delle sue incarnazioni, che arrivano imballati nella mia buca delle lettere tramite posta ordinaria in tempi variabili a seconda dello stato in cui si è finalizzato l’acquisto. I tempi sono a favore di I-Tunes: pochi secondi (o minuti al massimo…) di download in confronto a non meno 5 o 6 giorni di un invio postale. Senza contare i rischi di una spedizione internazionale. Il prodotto finale, a mio avviso, è a favore di Amazon (o meglio, a favore del rivenditore che si appoggia ad essa): possedendo il CD posso derivarne mp3 (o wave o Flac se sono proprio un fanatico dell’audio…) in qualunque momento, mentre l’operazione contraria non mi riporta al CD originale, senza contare che ho necessità di un supporto vergine e di un masterizzatore. E i prezzi…? A rigor di logica una transazione che non comprende il trasporto di un bene attraverso migliaia di chilometri e che, di fatto, non implica spostamento di oggetti e strutture “fisici” dovrebbe essere assai più economica di un acquisto tradizionale. In poche parole, scaricare un album in formato mp3 dovrebbe costare assai meno rispetto ad un acquisto “tradizionale”. Non è così. Non nella maggior parte dei casi. Scopro l’acqua calda? Forse. Però la cosa non finisce di stupirmi. Ma veniamo ad esaminare un po’ di numeri…
Quanto vale la Musica che acquistiamo?
Sui dieci album “testati” solo in tre casi il prezzo di I-Tunes, rispetto al CD nuovo di Amazon, è il più conveniente, e quando questo accade la differenza è minore che non nel caso opposto. Se poi estendiamo il confronto anche all’usato, allora veramente non c’è storia, con differenze nell’ordine persino di 4 o 5 euro per lo stesso album: in percentuale si parla di differenze di prezzo comprese tra il 30% e il 50%. Certo, non per lo stesso prodotto. Confrontare il nuovo con l’usato richiede prudenza; ma anche confrontare 10 files mp3 con un CD tradizionale può essere fonte di dibattito. Quanto vale la Musica che acquistiamo?
Ora, mi rendo conto che con questa tabella sembra che stia spudoratamente facendo pubblicità ad Amazon. Non è quello che voglio. Mi piacerebbe anzi estendere il confronto a qualche negozio sul territorio e credo che si potrebbero trovare prezzi ancora più vantaggiosi. Mi piacerebbe esplorare un po’ più approfonditamente E-Bay (e il web in generale, siti come Gemm, Musicstack…) e magari troveremo altre sorprese. Ma qui mi serve l’aiuto di qualcuno che di economia ne sappia più di me… Come può, a queste condizioni di mercato, esistere I-Tunes? Come può essere tra i maggiori, se non il maggiore, store digitale del globo, al punto da essere riuscito a condizionare i gusti e le mode in ambito musicale? Gli mp3 piacciono di più del CD? Occupano meno spazio, sono più pratici, prendono meno polvere? Si, sono d’accordo. Bene, compro il CD, risparmiando, ne estraggo gli mp3 e poi, se non voglio tenerlo in casa…lo regalo; lo butto via. Comunque ho risparmiato. Mi consolo pensando che ultimamente anche questo colosso ha visto un po' ridimensionato il suo potere; si è attribuita la colpa esclusiva al download illegale; era l’unica causa? Perché scaricare i file di un CD dei Muse mi costa tre euro e mezzo di più che non comprare un oggetto in Inghilterra? In Inghilterra, da dove deve percorrere 2.000 chilometri per arrivare a casa mia! Cosa acquistiamo veramente quando parliamo di musica? Acquistiamo diritti su una canzone? Acquistiamo byte? Un oggetto? O il trasporto di quell’oggetto? E’ una questione di copyright? Forse tramite I-Tunes (o simili, non ne voglio fare una questione personale con la Apple…) salviamo l’ambiente. Meno intermediari, niente trasporto, niente anidride carbonica. Ma perché non farlo ad un prezzo concorrenziale? Niente trasporti significa anche meno spesa, o no? Significa niente imballaggi, significa che non è necessario che un dipendente prenda il CD dallo scaffale, lo inserisca in una busta, ci scriva sopra a mano l'indirizzo o attacchi un'etichetta, lo consegni alle poste...dedichi insomma dieci minuti del suo tempo, mi auguro retribuito, ad evadere il mio ordine. Questo processo NON può essere, per il consumatore, più costoso dello spingere il pulsante "download" sull'interfaccia di un negozio virtuale.
Sono convinto che la vera innovazione comporti un guadagno - economico e culturale - equo e distribuito tra produttore, distributore e consumatore. Se al consumatore è concesso il solo guadagno culturale (da solo non basta, un vantaggio intellettuale è ben più difficilmente quantificabile di uno monetario) mentre il produttore si tiene quello economico, questa non è vera innovazione, è solo una differente strategia di mercato. Guardo al sistema televisivo e penso che tra pochi anni le TV “in chiaro” saranno solo contenitori di pubblicità mentre tutti i contenuti (non obbligatoriamente “di qualità”) saranno a pagamento. E' vera innovazione? Quando la tecnologia digitale riuscirà a rivoluzionare veramente il mercato? Per tutto questo non finisco di stupirmi. Per i curiosi, le tabelle sono scaricabili in formato pdf da qui:
http://www.mediafire.com/file/nx7lr5zbw6yj851/EMR_Tab1-3_Quanto_vale_la_Musica_che_acquistiamo.pdf
Piccole note metodologiche
La ricerca è, ovviamente, parziale. Sarebbe bello e tutto sommato facile fare indagini più approfondite, ampliare il campione dei dischi e soprattutto quello dei venditori… ma occorre tempo; che non ho. I prezzi si riferiscono al giorno 21-09-2012; non sono state tenute in conto promozioni o sconti. Si è cercato di scegliere la medesima edizione dei vari album tra i vari store; l’unica eccezione riguarda Never Mind the Bollocks… che su Amazon.it è disponibile nella edizione del 1991 mentre sugli altri siti esiste la versione remaster più recente. Su Amzon si sono scelti i prezzi più convenienti dei venditori che offrono spedizione internazionale, sia per il nuovo che per l’usato. Tutti i prezzi Amazon sono comprensivi della spedizione in Italia. Alcune differenze tra il nuovo e l’usato sono spiegabili con l’impossibilità del venditore a prezzo più conveniente di spedire in Italia. Due parole sui CD usati. Posso parlare solo per esperienza personale: ho acquistato ormai decine di CD usati sia in Inghlterra che in USA, non ho mai riscontrato alcun problema a livello audio; spesso ci sono segni,   scalfitture o anche rotture nelle scatole o sui digipack ma i dischi che ho comprato sono tutti in condizioni audio perfette. Ciò nonostante mi rendo conto che un confronto diretto tra mp3 – CD nuovo e CD usato richieda tutte le cautele del caso. Quanto vale la Musica che acquistiamo? Per concludere riportiamo integralmente (commettendo una grave infrazione al copyright…) l’articolo-intervista a Diego Piacentini, numero 2 di Amazon, comparso su Repubblica il giorno giovedì 20 settembre. Parole, a mio avviso, a tratti condivisibili, a tratti  inquietanti. Buona lettura! «Ogni grande processo di trasformazione vede la contrapposizione fra chi innova e chi resiste all’innovazione perché sa che la sua influenza verrà ridotta». Diego Piacentini, numero due di Amazon, riassume così - ovviamente a suo vantaggio - lo scontro in atto fra la sua compagnia e gli editori tradizionali di libri. Soprattutto quelli francesi, che, iniziando da Gallimard, hanno lanciato il grido di allarme: E in atto “un processo di smaterializzazione" del libro che da "oggetto qual è stato finora, tende a diventare un servizio". Come una partita di calcio su Sky, con conseguenze pesanti sul ruolo di chi fino a ieri ha gestito quest’ industria. «Le persone non vogliono più gadget, ma servizi. Servizi che migliorano giorno dopo giorno», aveva detto Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, durante la presentazione dei nuovi Kindle Fire lo scorso 7 settembre. Due apparecchi, uno con schermo hd, che arriveranno in Italia il 25 ottobre a costi scandalosamente bassi . Tanto bassi, si parte da 159 euro, da far pensare che Amazon li venda sottocosto. Perché non sono semplici tablet, ma finestre su universi digitali fatti di libri, film, giochi, applicazioni e musica. Universo che, nel caso di Amazon, è il cuore del suo business e vale 22 milioni di titoli. La grande guerra fra multinazionali della tecnologia passa quindi dagli oggetti ai contenuti, dall’attenzione per i nuovi modelli in uscita a quella sulla quantità e qualità di contenuti acquistabili. Con un’ulteriore rivoluzione “meta-fsica": l’abitudine all’utilizzo e non più alla proprietà, conseguenza evidente della smaterializzazione degli oggetti culturali. Ma è una guerra che possono combattere in pochi, anzi in pochissimi. Apple ovviamente, ma anche Google, Amazon e forse Microsoft, tagliando fuori i semplici costruttori di hardware come Samsung da un lato e gli editori di contenuti dall’altro, case editrici in primis.«Dal punto di vista del lettore si tratta di poter accedere, a pagamento, a una pluralità di contenuti mai vista prima. Ed è un beneficio, insiste Piacentini. Ma questo fa subito tornare alla mente quel che è accaduto all'industria musicale che con l’avvento di iTunes, la piattaforma per la vendita online di brani lanciata nel 2001, ha perso progressivamente il controllo e visto ridurre i suo giro di affari. «l.’ìndustria musicale è cambiata non è scomparsa», risponde il vice presidente di Amazon. «Uno dei problemi è stata la pirateria. Il peer-to-peer stile Napster era già affermato quando nacquero i primi servizi per acquistare a pagamento i brani. La pirateria non si combatte con leggi che tentano di fermarla rendendo però difficile perfino il consumo del prodotto, ma con una offerta vastissima e a prezzi ragionevoli. Un’offerta al quale il cliente deve poter accedere nel modo più semplice e immediato possibile. Non si tratta di usare gli avvocati, ma di dare al cliente un servizio adeguato. Per questo la pirateria sugli ebook non è un gran problema. Perché l’offerta c’è già, funziona e si evolve in maniera straordinaria. Cinque anni fa, quando lanciammo il Kindle, non pensavamo sinceramente che la crescita degli ebook sarebbe stata così veloce. E ha preso strade che non ci aspettavamo. Basti pensare al self·publishing e agli short, i libri da circa 30 pagine disponibili sul nostro negozio online». Questo però vi sta portando a i una posizione di quasi monopolio negli ebook. Ed è un’ accusa che in Francia muovono con insistenza. «Sono commenti di carattere ideologico molto difensivi, che in inglese si chiamano "passive aggressive" (passivi-aggressivi, ndr,). Il fatto è che abbiamo creato un’industria di massa costruendola attorno alla qualità dell’offerta data ai consumatori. Cosa che prima non esisteva». Di cosa stiamo parlando? Qui in ballo non ci sono più solo i libri, ma anche film, applicazioni, videogame, musica. «Abbiamo già lanciato il negozio online di applicazioni in Italia e prima del 25 ottobre apriremo quello musicale di mp3», snocciola Piacentini. «E abbiamo un accordo con Mondadori per i periodici e quotidiani da vendere via Kindle e ne stiamo stringendo altri con diversi editori italiani. Poi seguirà la parte video, già disponibile in Usa e Inghilterra». Film? Da noi hanno fallito tutti. I servizi di noleggio online di Apple, Sony, Microsoft, sono quasi inutili. Pochi film, vecchi e a prezzi alti. Perché voi dovreste riuscire? Chi ha i diritti del cinema in Italia non sembra esser interessato a questo mondo. «Non voglio convincere nessuno a parole, ma con i fatti. E i fatti si vedranno quando lanceremo il nostro servizio di affitto e vendita di pellicole e show televisivi. Quel che posso dire è che stiamo investendo molto. Anche le majors e chi gestisce i diritti dei film in Italia si stanno accorgendo che quel che accade oggi non è una marea che si può fermare. E successo lo stesso con editori, tanto che abbiamo già 29 mila ebook in italiano. E se facciamo un parallelo fra libri e video sono certo che quel che vediamo negli Stati Uniti, con vastissime librerie di show tv e blockbuster hollywoodiani disponibili, avverrà anche da noi». Con un modello di vendita basato sempre più su abbonamento? Paghi una certa cifra e puoi scaricare un certo numero di libri, film e giochi? «Siamo partiti dalla formula chiamata Prime. Con 79 dollari all’ar1no hai il servizio di spedizione più veloce possibile e qualsiasi cosa compri su Amazon ti arriva subito. In seguito abbiamo aggiunto una serie di contenuti gratuiti, libri, film e app. In pratica abbiamo integrato la distribuzione di prodotti fisici con quelli digitali e siamo gli unici a farlo. Oppure c’è l’acquisto sui singoli contenuti. I film a noleggio a partire da 1,99 dollari, e via discorrendo. EPrime c’è anche in Italia, a9,99 euro l’anno. Dal prossimo anno qui si potrà come negli Usa prestare i propri ebook liberamente. E pian piano aggiungeremo nuovi contenuti». Si arriverà a registi che si rivolgeranno direttamente al consumatore scavalcando le major così come certi scrittori stanno  iniziando a scavalcare gli editori grazie agli ebook? «Difficile da dire. Al momento noi permettiamo di vedere una puntata di un serial acquistandola a 1,99 dollari. Una puntata che magari molti si sono persi quando è stata trasmessa in tv. E questo è fatturato aggiuntivo peri network televisivi. Anche considerando che i costi di distribuzione su dvd sono infinitamente maggiori. Noi stiamo costruendo un’offerta che prima non esisteva, parliamo di librerie non da migliaia ma da milioni di titoli. Questo significherà anche una minore polarizzazione rispetto a quella di oggi, dove la maggioranza delle vendite si concentrano su pochi libri e film». Non mi ha risposto. Quindi anche il modo di produrre i contenuti cambierà? «Sta cambiando intanto la distribuzione, vale per la musica, la letteratura e via discorrendo. Dunque cambia anche in parte la produzione di contenuti». E voi vi trovate ad avere la situazione in pugno. A sapere, come mai nessun altro prima, chi, come, quando consuma cultura. «Sta già accadendo. Con una piattaforma integrata da 200 milioni di clienti è inevitabile. E una continuazione del trend iniziato con la vendita dei libri. Ma non vedo dove sia lo scandalo in questo. Ma qualcun altro lo scandalo lo vede eccome, perché Amazon propone un sistema chiuso e taglia fuori chi non l’accetta, spiegano editori e non solo. Ma la partita ha superato l’industria libraria diventando globale e investendo a 360 gradi l’intera produzione culturale. Ammesso abbia senso giocarla, significherebbe unire in un’unica squadra editori, network televisivi, case di produzione cinematografiche, etichette musicali. Missione difficile, se non addirittura impossibile.
La domanda che farei a Piacentini è semplice e magari un po’ ingenua: come potranno coesistere sotto lo stesso “ombrello Amazon” negozi tradizionali che vendono libri di carta e compact disc e distributori di contenuti interamente digitali? Ci sarà concorrenza interna? O dovremo veramente aspettarci che allo svuotamento dei magazzini seguirà una distribuzione interamente digitale dei prodotti?

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