Abbiamo appreso, credo per la prima volta, in questi giorni che gli italiani si possono misurare per il reddito che producono. Messi assieme, tutti gli italiani valgono 13 miliardi e mezzo di euro e cioè a capoccia sono 453 mila euro per gli uomini e , ahimè, siccome le donne producono meno reddito, valgono la metà, cioè 231 mila euro. Detta così la cosa è già scandalosa tanto più che è l’Istat a darcene informazione avendo prima fatto i suoi calcoli. A questa prima umiliazione ne sesuono altre perché, raffrontando un italiano a un americano o a uno svedese, risulterebbe che l’italiano viene dopo e il dato è destinato a ripetersi per molti altri confronti. Ma per chi, come me, non è abituato a essere pesato in once, come l’oro, o a essere paragonato a certi cervelli che producono reddito, il discorso di valere in relazione alla capacità di generare redditi, fa un po’ senso e mi fa venire il voltastomaco. O la sindrome di re Mida, il cui vero limite era la fame perchè tutto quello che toccava diventava oro, e di fatto gli era impedito persino di mangiare. Non dovrebbe essere consentito a nessuno di valutare il prossimo sulla base della ricchezza che produce o della materia grigia che ha in testa. Il presupposto è che la vita di un uomo, o di una donna, o di un anziano o di un nero o di un gay o di chicchessia è assolutamente e senza eccezioni incalcolabile. Purtroppo non è così per gli Stati ‘evoluti’, e naturalmente anche per l’Istat.
Ma l’Istat non è il solo istituto a considerare gli individui in senso distorto. Ci sono anche, sempre per conto dello Stato, i Tribunali, per i quali è vero che portano scritto nel loro codice visibile, dietro la nuca dei giudici e delle Corti giudicanti, che la legge è uguale per tutti, ma così non è. Non solo perché le cose talvolta prendono pieghe sbagliate e molte persone sono costrette obtorto collo a starsene in galera anche vent’anni per poi scoprire che sono innocenti, come capitò al povero mio compaesano Giovanni Mandalà morto di crepacuore o a Giuseppe Gulotta accusati della strage della casermetta di Alcamo, avvenuta nel 1977. Ma anche perché certi burocrati, non si sa al soldo di chi, hanno fatto passare delle norme per le quali gli uomini valgono zero. Anzi sottozero. Per legge suprema dello Stato. Basti dare un’occhiata a certe riviste delle cancellerie dei tribunali che trattano di servizi giudiziari. Prendiamo un esempio perché fa pure senso e passa l’appetito se si volesse allargare la casistica di quanto vale un testimone per la legge.
Ed ecco la questione. Secondo un decreto del presidente della repubblica che in questo caso va scritto rigorosamente minuscolo, e precisamente quello che porta il numero 115 e la data del 30 maggio 2002, il testimone che si reca, come suo dovere, a testimoniare per la giustizia e la verità di fronte a un tribunale, perché chiamato dal pubblico ministero, ha diritto – aprite bene le orecchie e cito entro virgolette – “per ogni giornata di viaggio a euro 0,72”, “per ogni giornata di soggiorno a euro 1,29”. Non è previsto alcun rimborso, tranne questa ‘indennità’, per la spesa di soggiorno, di vitto e di alloggio, mentre le spese di viaggio sono rimborsate solo se “autorizzate preventivamente”. Per cui se tu sei stato convocato dal giudice di un tribunale o dal pubblico ministero e ti sposti da Marsala a Bolzano, devi affrontare un viaggio di oltre trenta ore, tra aerei e mezzi ferroviari per averli rimborsati solo se hai fatto richiesta preventiva, e se il giudice o chi per lui ti ha autorizzato a spostarti. Se per caso ti scordi di fare richiesta o l’hai fatta ma si trova irreperibile, tu, testimone di giustizia, hai l’obbligo di essere presente all’ora e nel giorno indicato, ma non hai diritto al becco di un centesimo di euro di rimborso. Dunque parti da Marsala, pernotti almeno il giorno prima e il giorno dopo la data di udienza, oltre che nel giorno di udienza. Bene che ti vada hai diritto al rimborso del semplice costo del biglietto, quando l’ufficio deciderà che ti spetta. E tutte le altre spese di taxi, permanenza dell’auto in aeroporto, navette, pasti, pernottamenti? Chi te le paga? Paghi tu, caro testimone, di tasca tua, se hai soldi, altrimenti te li fai prestare da un amico.
Questa la situazione dalla parte dello Stato che ti vuole un bene inaudito.
Se sei testimone di parte del querelato, devi solo sperare nel senso di giustizia e nel buon senso dell’interessato. Hai sempre l’obbligo di presentarti perché il giudice potrebbe ordinare il tuo accompagnamento ai suoi piedi in modo coattivo, e colpirti con un’ammenda fino a 516,00 euro ai sensi dell’art. 133 del c.p.p.. Senza che nessuno si senta in dovere di dirti neanche grazie. Ora, mi domando: – ne hanno torto i siciliani quando dicono: “Niente so e niente voglio sapere, e se quello che ho detto costituisce qualcosa di detto, è come se non l’avessi detto” ? Scusate tutti, progressisti e conservatori. Hanno ragione da vendere. Ma non per un fatto pecuniario che pure esiste visto che troppe persone si sono mangiata l’Italia intera dalle Alpi alle Piramidi, ma perché è proprio lo Stato che ha creato e mantiene viva l’incitazione all’omertà e a tutti quegli altri vizi che impediscono alla giustizia di trionfare.
Giuseppe Casarrubea