![Quarant'anni nell'Armadio di mamma: gli anni Novanta parte prima Quarant'anni nell'Armadio di mamma: gli anni Novanta parte prima](http://m2.paperblog.com/i/157/1573344/quarantanni-nellarmadio-di-mamma-gli-anni-nov-L-RPZWJ3.jpeg)
Dopo che le mani di tutti si erano ben infilate nella pasta degli anni ottanta, cominciò a crescere una strana voglia di “averle pulite”. Non era la prima volta che qualche potente volesse lavarsele, ma fu di certo la prima in cui il Pilato della situazione usò la magistratura invece della solita acqua.
Si aprì quella che venne definita seconda repubblica seppure la carta costituzionale rimase inalterata.
Anche la vita con la Maria Luisa rimase pressoché inalterata, solo che lei non si era accontentata di lavarsene le mani, ma anzi, credeva di aver fatto tutto il bagno. E ancora una volta poteva sentirsi “a posto”. Il matrimonio di mio fratello la vide indossare non so con quale ardire la mantella bianca di lapin a noleggio della moglie di mio fratello, e fu immortalata con un sorriso ebete al fianco di mio padre che indossava una smorfia di stanchezza, dovuta al tumore che già inconsapevolmente si era fatto strada in lui.
Io alla vista di questa pagliacciata finsi una intossicazione dovuta al pesce scadente del banchetto e mi feci portare a casa dal vicino dei miei. Nel tragitto ebbi un barlume di saggezza chiedendomi se veramente quello spettacolo decadente, avrebbe mai potuto fare per me. Lasciai al banchetto anche una fidanzata che seppure devo riconoscere non aveva molto a che fare con quel contesto, di certo ne aveva poco anche con me.
Gli anni Novanta videro la morte di papà e la sua candida frase : non credevo di avere una famiglia che mi volesse bene. Parole semplici ed eterne che avrebbero scavato in noi, più a fondo della sua stessa scomparsa. Morì in casa una mattina, mentre io lavoravo, il tre di un agosto torrido del 1993. Il ventiquattro fui io a sposarmi e a ricredermi sulla decadenza del matrimonio di mio fratello, che per quanto sinistro non poté mai eguagliare la tragicità del mio. La Maria Luisa si fece immortalare in un'altra istantanea che ne coglieva tutta l'assenza di senso. Cinquantotto giorni dopo, mi svegliai da un sonno denso durato qualche anno, e compresi che se Arafat e Rabin potevano avere il premio Nobel, forse anche io meritavo qualche cosa in più. E così mi separai.
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Serie televisive come Friends si affacciarono alla televisione, e parlando di come alcuni ragazzi potevano vivere amicizia amori e un senso di famiglia meno tradizionale, sebbene mai quanto quello che scoprii con Claudio.
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Memorabile protagonista indiscussa dei miei anni Novanta fu anche una signora incontrata per caso, che pur avendo lo stesso nome di mia madre, aveva un modo di essere madre davvero speciale. Mi accolse come un figlio per molti anni e con lei scoprii il dialogo che ogni figlio dovrebbe poter avere con sua madre. Non che vissi a casa sua, era già più che affollata dai suoi figli e dal marito, ma ogni giorno passavo da lei, e nel suo giardino con u bel caffè di cui ricordo ancora l'odore, mi confessò il motivo del suo affetto per me. La prima volta che mi vide, i miei occhi le scossero il cuore riportandole alla mente gli occhi di un suo grande amore, e così senza ragionarci sopra, rispose nell'unico modo che le veniva naturale. Mi volle bene, e ne volle anche a Claudio, come avrebbe fatto una madre.
Ebbi anche io le mie “Tre Marie”, ma soprattutto ebbi nel mondo tanto spaventoso che mi era stato descritto, più umanità che nel “paradiso perduto” da cui ero stato cacciato.
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