Tutte le volte che ho provato a pensarti,
non mi sono concentrato
Ho perso le tracce del respiro sul naso
e ho cominciato a starnazzare
Starnazzare nel brodo, vero brodo di camomilla
camomilla nella vita, nella mia vita, e aspetto e aspetto,
Che qualcosa accada, qui dentro nel mio cuore, qui dentro, proprio qui dentro
Fuori ci sono loro, I fantasmi annoiati con me,
che si nascondono
Io so come stanarli ora
e non mi fanno più paura
Eppure è proprio questo a spaventarmi
che loro non me ne facciano più
Che loro siano così avvinghiati a me
da trovare difficile riconoscerli
Perché ormai sono me, me con torto, me con la ragione, me con lo sbaglio
E insieme cosa facevamo?
Io e loro,
i miei fantasmi,
Facevamo così
rincorrevano me che correvo
Ma era la mia vita,
un bambino che corre per scappare
Che vede accanto a sè e alle strade su cui fugge
quello che esiste
Esiste tutto così, tutto, e io posso, posso viverne
Con me adesso, loro non mi lasciano,
e ci ho stretto amicizia
E non fanno paura,
assiepati attorno al letto, circondanti il comodino
Che si accomunano con
e piangono per,
i miei fantasmi
Quelli, i miei fantasmi, non fanno più paura
È proprio ciò che mi spaventa
che invece di correre,
il bambino stralunato, se ne sta fermo, ora,
Io sto fermo ora, e tutto intorno,
guardo dalla finestra macchiata di pioggia,
si alimenta da sé
E non vedo niente però sento,
di vedere tutti ruotare e correre
e arruffarsi per la zuffa
chiamata amore, vita e morte,
delusione, pena e dolore,
rincrescimento e ansia
amore e amore che si porgeva
Me ne sto fermo, e aspetto, come sempre,
fino a dove non lo sento neanche io
E i fantasmi continuano con me
Ad aspettare con me
E andiamo nella nuova camera, tutti quanti ad aspettare
Io con quei quattro cinque fantasmi
Io e quei cinque appollaiati un po’ tenebrosi
un po’ sorridenti, un po’ ubriachi
Seduti ognuno al loro posto che attendono con me
E sentono, quello che sento io?, e ridono silenziosamente
E un po’, la cosa solo più penosa,
provano solo un po’ di pena anche per me
Reagire,
sono talmente bravi che ti danno l’impressione che non ce ne sia bisogno
Ucciderli,
ti darebbero del matto senza condannarti
Ignorarli,
è quello che vogliono
non provare a conoscerli
Seguirli,
non ne hanno bisogno
Sono fermi
Il bisogno, l’unico imponderabile bisogno,
è vivere con loro nel ristoro
Di abeti che bruciano,
di sangue che si eleva
un po’ di semplice ristoro di una droga
Che aspiro
e loro guardano senza chiedermene un po’
e hanno la faccia di nonna
che sorride e che mangia e non deve
Di un bastone pronto su un cane
Si rifugiano da me e vogliono rifugio da me
e desiderano che io sia il loro rifugio
Alla fine,
mi lasciano stare per un po’
La mattina, quando sia il cielo lastrato di grigio o seviziato dalla luce del sole,
mi sembra che tutto sia normale
e che loro non esistano
Così ho tanta fiducia nel prossimo piede
che metterò fuori il rifugio dei miei fantasmi
Che accoglienti mi abbracciano, luridi e schiavi, ogni volta che la mattina scolora.