Magazine Diario personale

Quattro lettere che volevo scrivere ma non lo farò.

Da Tofina
Ciao, volevo scriverti ma in realtà non vorrei. Perché tante volte è meglio mordersi la lingua e molte altre non parlare è l'unico modo per trattenere un'emozione che non vorresti perdere mai.

Volevo scrivere a te per dirti che nonostante le incomprensioni, le liti da sedicenni e gli errori da grandi, le lacrime, la distanza fisica e quella non, la tensione, gli anni e i silenzi, sei stata la migliore amica di sempre e cerco un po' di te in tutti quelli che ho attorno. Guardavamo un sacco di film sul divano di casa tua, ci imprestavamo i vestiti, andavamo ai concerti, leggevamo tanti libri (hai ancora il mio giovane Holden con tutti i miei disegni e commenti a lato, lo sai eh?), gareggiavamo a chi aveva il padre più stronzo. Prima della maturità ci siamo tagliate i capelli corti corti e la prima notte di università abbiamo dormito nel sacco a pelo insieme. Ci scrivevamo lunghe lettere per compensare quelle volte che la voce restava muta. Un giorno per strada mi hai raccontato che una nostra amica spesso ti infastidiva,  perché trascorrevate lunghi momenti senza dire una parola, e quei lunghi silenzi erano per te quasi peggio di tante frasi di circostanza. E poi mi hai detto che i nostri silenzi invece erano sempre carichi di pensieri, le giuste pause per prendere fiato, un modo per continuare da sole un discorso affrontato insieme o trovare spunti per uno successivo. Mi manchi e mai nessuna sarà come te.

Invece volevo dire a te, che non è cambiato nulla. Dopo anni in cui me l'ero risparmiato, questo Natale ho potuto riaprezzare il tuo celeberrimo scazzodellefeste, quel morbo che ti divora in ogni santa e non santa occasione in cui si riunisce la famiglia. La tua famiglia: i tuoi splendidi genitori e i tuoi amorevoli (e ancora dobbiamo capire perché, tutto considerato) figli. Ricordo, a distanza di anni, quella terribile sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato, il dubbio di una mia possibile responsabilità per quel malumore insistente; ricordo la mia mano stretta in quella della mamma mentre cerco con lo sguardo nei suoi occhi il permesso di essere felice, il giorno di Natale. Lei sorrideva dolce e mi diceva di andare a giocare con mio fratello. Il fatto è che, forse non te ne sei accorto, sono passati un po' di anni. Non c'è più la mamma ma mio marito accanto a me, non sono più quella bambina con il vestitino di velluto nero e le scarpe di vernice delle feste. Puoi rispondere male e fare il protagonista quanto vuoi, il tuo potere su di me non funziona più. Non hai mai voluto essere indispensabile per noi, come un padre dovrebbe essere, non rammarticarti se il tuo desiderio si è avverato.

E poi volevo scrivere anche a te, per dirti che mi sembri davvero più grande. Lo so, lo sei. Ma non è solo una questione di anni, ma di testa. Forse sei diventato quello che sapevo saresti stato, forse ti arrabbiavi con me perché pretendevo che lo diventassi subito e non era possibile. Tu avevi 15 anni e io 17. Eravamo un po' stronzi tutti e due, in fondo. Ma è bello parlarti di nuovo e aver chiuso definitivamente in un cassetto tutto ciò di cui non siamo mai andati fieri.Infine volevo scrivere anche a te, per dirti che non ti scriverò. Lo so che aspettavi il tuo turno, ma questa volta non lo farò. Non te lo meriti, e lo sai.


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