Prima che la cura da cavallo somministrata da Bruxelles a Nicosia imponesse un drastico prelievo sui conti correnti, inclusi quelli dei numerosissimi correntisti russi, tra Cipro e la Russia è andato avanti per anni uno strano movimento di capitali, quasi a “porta girevole”: flussi di denaro sono usciti dai confini russi diretti nei forzieri ciprioti, per poi rientrare in patria sotto forma di investimenti esteri. L’Agenzia statistica russa RosStat ha stimato di recente che, dopo l’Olanda, Cipro è il secondo paese per presenza di valuta russa nelle banche, e nel periodo 2005-2011, l’isola del Mediterraneo orientale è stata il terzo investitore diretto in Russia dopo Gran Bretagna e Svizzera, altre due nazioni nelle cui banche abbondano i capitali di provenienza russa. A Cipro, in particolare, i depositi che hanno origine russa costituiscono tra il 30% e il 50% della liquidità nelle casseforti di Nicosia.
Secondo una ricerca svolta da economisti dell’Università di Helsinki in collaborazione con quella dell’Ontario occidentale, in Russia il denaro giunto da Cipro e da paradisi fiscali come le Isole Vergini Britanniche è stato utilizzato prevalentemente per investimenti nel settore edilizio e in quello finanziario, a differenza di quello che invece è arrivato da Cina, Turchia, Francia, Svezia e Usa, diretto prevalentemente verso il manifatturiero, il commercio e i servizi: considerata la palese opacità in quei settori, è facile intuire come molti degli investitori ciprioti siano solo degli “uomini di paglia” legati alla mafia russa, che utilizza Cipro come un filtro per “lavare” il denaro di provenienza illecita.
Lo studio, presentato lunedì, rileva come i capitali russi diretti negli ultimi vent’anni verso la sola Cipro rappresentino circa la metà di quelli che ufficialmente escono dalla Russia in un anno: secondo dati della Banca Centrale russa, il flusso in uscita dei capitali ammontava nel 2012 a 56,8 miliardi di dollari, di cui quasi la metà considerati esportati in maniera illecita.