Riuscirà il prode Renzi a scardinare l’armata costruita dal baffo più potente d’Italia? È riuscito. Repubblica.it sottolinea con entusiasmo il fatto che si siano superati i tre milioni di votanti alle primarie 2013 del PD, probabilmente le più importanti e probabilmente le meno sentite della storia del partito di ispirazione socialista. I contendenti questa volta sono stati tre: Renzi, Cuperlo e Civati. Tutti armati di soliti principi, qualcuno armato anche di potenti amici banchieri. L’ultima volta – e stiamo parlando di meno di un anno fa – il sindaco di Firenze mancò il successo al ballottaggio con Pierluigi Bersani e promise che si sarebbe dedicato al suo incarico di sindaco di una delle città più belle d’Italia, Firenze, e tuttalpiù avrebbe contribuito alla crescita del partito. Cosa rimane di quelle promesse?
Sento già mormorare uno dei nostri ventidue lettori e dire tra sé e sé che in quel caso i giochi erano diversi, in quel caso si correva per un posto in prima fila alla guida della coalizione di centro-sinistra. Italia bene comune, si diceva. E forse è proprio quello che rimane dell’ultima campagna di marketing politico del PD. Il bene comune. Sì perché anche il governo meno legittimo d’Europa ha a cuore il bene comune. E quale modo migliore di perpetuare il bene comune se non insieme a chi l’Italia in questi anni l’ha distrutta? Non ci vorranno fare credere veramente che la grande coalizione sia l’unica soluzione possibile in un momento di crisi economica? Non siamo la Germania, certo, e nemmeno l’Islanda; questo è chiaro ormai ad ogni cittadino dell’Unione Europea. Però, in quanto cittadino e fervente sostenitore dei valori democratici, io mi sento tradito dalle primarie, soprattutto come metodo per selezionare l’opportunità migliore tra le possibili. Tradito perché non avrei mai potuto credere che veramente realizzassero le scelte politiche pronosticate da Beppe Grillo nei suoi comizi. Tradito perché se è vero che siamo in alto mare, non mi piace stare nella stessa barca insieme ad Angelino Alfano e Pierferdinando Casini. Oppure era tutto parte di un grande strategia più complessa che noi mortali non possiamo capire? Una cosa del tipo facciamo la grande coalizione, mettiamo le facce più compromesse che sono rimaste, Bindy, Finocchiaro, Letta e poi permettiamo a Matteo Renzi di conquistare l’elettorato di centro-sinistra e di centro-destra promettendo elezioni subito. Facciamo in modo che Renzi stesso possa parlare male del PD e facciamolo in modo tale che possa salire al potere. Permettiamo al giovane Tony Blair italiano (accostamento forse improprio, dato che Blair ha studiato ad Oxford) di salire al potere maledicendo le grandi coalizioni; facciamogli mettere le carte in tavola, facciamogli promettere le grandi riforme liberali e chi si è visto si è visto! Nel frattempo D’Alema rema contro, mescola gli intrugli magici di sempre, pubblicamente firma l’endorsment di Cuperlo ma nelle segrete stanze spinge verso un avvicinamento più che un contropiede in attacco. Sì perché – come saprete – se Renzi non avesse raggiunto il 50,1% dei voti sarebbe intervenuto l’agognato articolo 9 comma 9 dello statuto del PD: “Il presidente dell’Assemblea nazionale indice un ballottaggio a scrutinio segreto tra i due candidati più votati”. A decidere quindi in quel caso sarebbero stati i 1100 membri dell’Assemblea nazionale. Pancia mia fatti capanna per i giochi di corrente all’interno del PD; e allora sì che la corrente dei dalemiani doc avrebbe potuto davvero fare la differenza. Da ieri sera conosciamo il verdetto, ma cosa rimane della nostra voglia di partecipare attivamente alle scelte di questo partito e di questo Stato?
Nel frattempo la Consulta certifica che la nostra classe politica è inadatta a governare, a legiferare e, secondo qualcuno, anche a segnare un goal a porta vuota.
Buona settimana e buona fortuna.