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Quei cinesi continentali - Hong Kong

Creato il 28 maggio 2013 da Pulfabio

Quei cinesi continentali - Hong Kong

Vista della skyline da Tsim SHa Tsui

M sta completando un master in scienze dell'educazione presso una famosa università di Hong Kong. E' cinese, della Cina Popolare, la conosco da anni. Una ragazza simpatica, dolce, educata, molto per bene. Niente a che fare con lo stereotipo del cinese che sputa, si pulisce in pubblico le orecchie, il naso o qualcos'altro, mastica semi e radici seduto accanto a te, succhiando rumorosamente e sputacchiando gusci sfasciati e fibre spappolate. Ma da quando è arrivata a Hong Kong quello stereotipo non smette mai di frustrarla, metterla in imbarazzo e umiliarla.
A volte, quando in un negozio fa un paio di domande sul prodotto che intende acquistare, un commesso le risponde: "Oh, questa è Hong Kong, mica la Cina continentale!" Mi racconta che i cinesi vengono accusati di "rubare" i posti di lavoro ai cittadini del luogo oppure, e questo la coinvolge personalmente, le posizioni disponibili per master e dottorati nelle migliori università. Lei il master se lo è pagato da sé, e molto più di quel che paga un cittadino di Hong Kong. Questo genere di accuse generalizzate le trova quindi piuttosto irritanti.
Passeggiamo per le vie di Kowloon e quando arriviamo a un incrocio dal momento che la strada è sgombra io, come faccio sempre, attraverso, a prescindere dal colore della luce del semaforo.
Come attenuante c'è da dire che metto in pratica anche la tecnica inversa: se la luce è verde non passo col pilota automatico ma controllo che non ci sia qualche pazzo in motorino che se ne sbatte del rosso e si appresta a disegnare una sagoma a forma di me sull'asfalto. La invito a seguirmi ma lei si ferma sul ciglio del marciapiedi e aspetta il verde: mentre la osservo non so se mi ricordi di più una signora per bene d'altri tempi o un mulo testardo (mi riferisco all'atteggiamento, non all'aspetto...). Poi mi spiega che se qualcuno di qui la vedesse attraversare col rosso e scoprisse che è cinese si aggrapperebbe al solito stereotipo e l'accuserebbe di essere una rozza incivile, insultandola sfacciatamente o in modo più subdolo.
Alcuni giorni dopo, a Guangzhou - quindi già nella Cina Popolare - Y, una ragazza che mi ha aiutato a comprare una SIM card e a orientarmi quando ero appena arrivato, mi spiega che attriti simili si verificano anche tra città cinesi, o ancor più tra città e campagna. Gli abitanti di Guangzhou o Shanghai, posti industrializzati, sviluppati e - rispetto alla media del paese - molto ricchi, cominciano a mostrare alcuni sintomi di irritazione e intolleranza nei confronti degli immigrati delle province più povere. Siano essi contadini tramutati con un trucco da camerino teatrale in operai - quelli per intenderci che lavorando nelle fabbriche contribuiscono ad arricchire le province più avanzate -, laureati che lavorano negli uffici, studenti o insegnanti. Vengono forse risparmiati soltanto i membri del partito e gli imprenditori di successo, per motivi diversi ma in entrambi i casi ovvi.
Ho notato spesso che le persone - a prescindere da quale sia la loro nazionalità - tendono a essere gelose non solo di quel che amano o desiderano ardentemente, ma anche di problemi e disavventure, tendendo a volerne fare un caso proprio e di nessun altro. E' l'atteggiamento del "...sapessi cosa mi è capitato, tu non lo puoi nemmeno immaginare...". Ma, almeno in questo caso, si tratta di reazioni e dinamiche naturali, comuni a tutti gli esseri umani e non specifiche a questo spicchio del globo. 
Racconto a entrambe le ragazze che se uno svizzero mi vedesse attraversare la strada col rosso nella sua cittadina e venisse a sapere che sono italiano...chissà cosa penserebbe. Che nella stessa Italia italiani del nord e del sud si sbeffeggiano, insultano e diffidano gli uni degli altri da anni. Che la stessa cosa capita anche all'interno della stessa regione. Gli abitanti di Venezia solevano (e forse lo fanno ancora) utilizzare il termine "campagna" per riferirsi al resto del Veneto, includendo per intenderci anche i centri storici di Verona (la città dell'arena romana e di Shakespeare), Padova (con l'università del '200 e l'ospitalità a Galileo, Petrarca, Dante e di nuovo Shakespeare) e Vicenza (quella delle ville del Palladio). Niente da fare, incuranti di storia, arte, architettura, scienze e personalità illustri, i veneziani liquidano tutto ciò che sta al di là della loro amata laguna come rozza campagna. E succede persino all'interno delle stesse province: quando la mia famiglia si trasferì dalla città a un paesino ad appena dieci chilometri dal centro i miei nuovi compagni di scuola per alcuni mesi si riferirono a me come "quello di Padova". Quando in senso lato in fondo erano padovani pure loro. Nemmeno fossi stato londinese, parigino o newyorkese. O magari, che so, honkonghese.
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