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Quei segreti in casa Cgil

Da Brunougolini
Quei segreti in casa Cgil E' uscito un libro dal titolo singolare “Storie Fatti Segreti di protagonisti della Cgil" (editrice LiberEtà). Potrebbe far pensare, di primo acchito, a un opuscolo scandalistico. E' in realtà una galleria di 20 ritratti di importanti dirigenti del sindacato, raccontata da uno che conosce bene la materia, Carlo Ghezzi, già segretario confederale e oggi presidente della Fondazione di Vittorio. Il lettore non scoprirà in realtà grandi misteri, segreti eccitanti dei “leader” Cgil. Avrà però modo di conoscere aspetti particolari, spesso misconosciuti, delle loro vite, delle loro esperienze, dei loro successi o insuccessi. Quello che ne esce, in definitiva, è il quadro di una “casa”, la casa della Cgil, non certo abitata da anime morte, da burocrati silenti ma da donne e uomini guidati da forti passioni politiche, da energie vitali. Donne e uomini, come scrive Carla Cantone nella prefazione, che “hanno reso grande la Cgil e i partiti della sinistra con i quali hanno avuto discussioni e scontri, anche notevoli”.
E' questo l'elemento piu interessante del libro: non aver occultato determinati aspetti del dibattito interno, anche in riferimento alle posizioni dei “partiti di riferimento” di un tempo, ovverosia il Pci e il Psi. E vengono così a galla, in questa storia a rapide tappe, “coppie conviventi” con impronte politiche e personali diverse, spesso in contrasto. Tra chi magari era severo custode dell'autonomia dell'organizzazione e chi, all'epoca, guardava alle direttive indiscutibili del “Partito”. E così troviamo la non facile convivenza tra Giuseppe di Vittorio e Agostino Novella, per arrivare agli screzi tra Luciano Lama e Rinaldo Scheda, o al rapporto non facile tra Lucio De Carlini e Antonio Pizzinato. Vite di militanti duramente impegnati, personalità forti e messe alla prova ogni giorno. Pochi si salvano dalle tempeste della lotta politica. Non certo Oreste Lizzadri o Vittorio Foa o Bruno Trentin o Sergio Garavini o Fernando Santi o Piero Boni o Aldo Bonaccini, o Feliciano Rossitto o Donatella Turtura o Angelo Airoldi. Tutti spesso nell'occhio del ciclone con esponenti comunisti o socialisti, con interlocutori di altre categorie, con donne e uomini con i quali convivono magari lavorando nella stessa stanza. Con la voglia di far prevalere le proprie opinioni, certo, ma anche con la convinzione che solo un confronto aperto può servire all'organizzazione, anche se magari non trova il modo di coinvolgere l'insieme degli iscritti.
Qualcuno potrebbe dire che anche allora, riprendendo uno schema in auge in questi tempi, il confronto era tra riformisti-moderati” e “massimalisti”. Uno schema facile che però non trova pieno riscontro (Lama era davvero un moderato e Novella un estremista?) nei racconti di quelle vite dove semmai appare evidente lo sforzo, nei vari personaggi, di pensare con la propria testa di fronte alle difficoltà più o meno drammatiche del momento. Anche attraverso un agire politico serrato, certo. Ma senza interrompere il legame del rispetto umano e spesso dell'amicizia. Ecco perchè piace riportare dal libro, tra i tanti fatti e fatterelli, un aneddoto secondario ma con un qualche significato. Lo trovo alla fine del capitolo dedicato a Luciano Romagnoli, giovane emergente, possibile erede di Di Vittorio, scomparso a 42 anni. Aveva trascorso il suo ultimo Capodanno, nel 1965, a Ischia, leggo, con un gruppo di giovani del tempo: Giorgio Napolitano, Gerardo Chiaromonte, Bruno Trentin, Sergio Garavini. Insieme, quella sera, uomini di partito e uomini del sindacato. Più tardi negli anni destinati spesso a fronteggiarsi. Individualità diverse destinate a percorsi diversi. Ma che non avevano ideali contrapposti.

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