Gli astronauti dello Shuttle Challenger raggiungono la rampa di lancio. In fila, Francis “Dick” Scobee (Comandante della missione STS 51-L), Judith Resnik (Mission Specialist), Ronald McNair (Mission Specialist), Gregory Jarvis (Payload Specialist), Ellison Onizuka (Mission Specialist), Sharon Christa McAuliffe (Payload Specialist – prima insegnante nello spazio) e Michael Smith (Pilota di missione). Crediti NASA.
Il volo e i sette membri dell’equipaggio persi durante il vlo, meritano il giusto riconoscimento e una commemorazione autentica. Credo sia onesto che gli storici, i giornalisti e tutti noi cittadini comuni, al di là di ogni nazione o cultura, al di là di ogni professione e religione, prendano il giusto tempo e si soffermino a pensare, a ricordare ciò che è realmente accaduto, e soprattutto è necessario che i ricordi siano il più umanamente possibile vicini a ciò che è realmente accaduto.
Vi sono poche persone che hanno visto la tragedia dello Shuttle Challenger svolgersi in diretta TV quel lontano 28 gennaio 1986. Sicuramente l’America (e il mondo intero) vide alla televisione una tragedia inspiegabile. Il volo avvenne durante i primi anni delle messa in onda via cavo delle notizie e, anche se la CNN sosteneva la missione e la pubblicizzava, quando la navetta esplose tutte le stazioni principali avevano subito dei tagli. Poichè a bordo di questa missione vi era Chirsta McAuliffe, la prima insegnante in orbita, la NASA aveva organizzato una trasmissione via satellite dell’intera missione con delle apparecchiature televisive in molte scuole, ma il pubblico non ebbe pubblico accesso a questa trasmissione in diretta a meno che non fosse dotato di un’antenna parabolica. Cià che la maggior parte delle persone ricordano come “una trasmissione in diretta” fu in realtà il replay registrato messo in onda subito dopo il disastro.
Durante un allenamento, l’insegnante Christa McAuliffe sperimenta l’assenza di gravità. Crediti NASA.Lo Shuttle non esplose nel vero senso del termine, nella vera definizione di “esplosione”. Non vi furono onde d’urto, nessuna detonazione, nessun bang. Gli spettatori a terra sentirono appena il rombo dei motori fermarsi quando il serbatoio principale dello Shuttle venne lacerato con la fuoriuscita di idrogeno e ossigeno liquidi, che formò una palla di fuoco immensa ad un’altitudine di 14 020 metri (46 000 piedi, alcuni documentari televisivi in seguito aggiunsero il suono di un’esplosione a quelle immagini). Ma entrambi i booster proseguirono la loro rotta ben oltre la nuvola di fumo dove lo Shuttle si era lacerato in più parti, venendo scagliato nell’aria in più frammenti ad una velocità Mach 2. I due serbatoi a propellente solido furono esplosi in volo da terra, ma il veicolo spaziale era già in pezzi.
Nè il volo nè la vita degli astronauti stessi finì in quell’istante, a 73 secondi dal lancio. Gli astronauti non morirono sul colpo. Dopo che lo Shuttle fu lacerato in più parti, i pezzi continuarono a salire raggiungendo una quota di 19800 metri circa (65 000 piedi) per poi scendere nell’oceano a forte velocità. La cabina colpì la superficie dell’acqua dopo 2 minuti e 45 secondi dalla rottura, e tutte le indagini compiute subito dopo il disastro confermarono che l’equipaggio era ancora in vita fino a quell’istante. Quello che è meno chiaro è se fossero coscienti.
Se la cabina si era già depressurizzata (come sembra probabile), l’equipaggio avrebbe avuto difficoltà a respirare. Nelle parole della relazione finale degli astronauti colleghi incaricati di studiare cosa avvenne in quei momenti, si legge che “the crew possibly but not certainly lost consciousness,” , ossia che l’equipaggio è probabile ma non sicuro che abbia perso conoscenza”, anche se alcune bombole di emergenza, progettate per la fuga da un veicolo in fumo ancora fermo a terra) erano state attivate.
Il video ufficiale della CNN, unica rete televisiva a mandare in diretta l’evento.
La cabina colpì la superficie dell’acqua ad una velocità di oltre 322 km/h, che equivale ad una forza risultante di circa 200 G, uno schiacciamento della struttura e una distruzione praticamente totale di qualsiasi cosa si trova all’interno della cabina.
Nn è ancora chiaro se l’equipaggio avesse perso coscienza e se la cabina fosse stata sufficientemente intatta per contenere dentro di essa abbastanza aria per evitare la perdita di coscienza degli astronauti, essi avrebbero in effetti potuto riprendere coscienza mentre l’aria cominciava a diventare più densa negli ultimi secondi di caduta. Le commemorazioni ufficiali della NASA dei 73 secondi di volo dello Shuttle Challenger in modo molto sottile ha distolto l’attenzione da questi particolari, da ciò che era accaduto in quei quasi tre minuti di volo e di vita dopo la rottura dello Shuttle.
Sabrina