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Quel che finisce bene, non è sempre un bene

Da Fishcanfly @marcodecave

“Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo” – disse lui.

“Ma questa è la disperazione di un uomo pronto a tutto.”- gli rispose lei, posando il libro sull’asciugamano. Quel pezzo di spiaggia era sempre poco affollato. Un po’ di sabbia si sparpagliò nelle pagine che stava leggendo, “Il gabbiano Jonathan Livingston” di Bach.

“Ah sì, e tu come diresti?”

“Vivi ogni giorno come se fosse il primo!”

“Questa è l’infantile curiosità di un bimbo pronto solo a scoprire tutto!”

“E mi hai detto poco!”

“Ma i bimbi crescono, le cose cambiano, i giorni passano”- concluse lui distendosi.

Per un po’ ascoltarono le onde del mare sbattere sul bagnasciuga, o erano le onde che ascoltavano loro. Un venditore di cocco passò sbandierano a tutti una fresca verità, consumabile all’istante.

“Che cosa dovremmo fare adesso?” – disse lei.

“Dimmelo tu.” – rispose lui.

Un bambino prendeva a calci un pallone sulla riva. Il pallone tornava sempre indietro.

“Vedi quel ragazzino?” disse lui, ammiccando.

Lei alzò la mano destra a ripararsi gli occhi dal sole mentre guardava, e annuì.

“Quel ragazzino s’illude che il pallone torni da lui. Crede che ci sia quasi un legame tra lui e la palla.”

“E invece?” – lo articolò lei, perché la sua espressione e il tono lasciavano tutta l’aria di far presupporre un “invece”, quasi retorico, naturale.

“E invece il pallone torna indietro, per effetto della forza di gravità.”

“Quindi mi stai dicendo che non c’è nessun legame tra lui e il pallone. Che questi fa comunque quel che vuole.”

Lui riflettè un attimo.

“No – scosse la testa – No, è proprio questo il punto. Non solo non esiste un legame, ma il pallone agisce a causa di vettori fisici, non secondo la propria volontà. Anzi, è probabile che se agisse secondo la propria volontà un legame si potrebbe instaurare. C’è bisogno sempre di due volontà per iniziare un legame.”

“E come finisce?”

“Finisce che il bimbo continuerà a illudersi e il pallone continuerà a tornare.”

“Sembra che finisca bene, tutto sommato.”

“Quel che finisce bene, non è sempre un bene”

Poi sentirono una voce di donna che richiamava il ragazzino.

“Sunny, è ora di andare!”

“Sì, mamma!”

Il bimbo raccolse il pallone fra le braccia e corse verso l’ombrellone.

“E a quest’ultima scena che metafora associ, signor scrittore?” – disse lei, sorridendo.

“Che siamo disposti a prendere in braccio le nostre illusioni e a portarne il peso, pur di salvarle.”

“Ma perché?”

“Perché…- lui s’interruppe, rimase a pensare per un po’ – Perché è giusto così.”

Quel che finisce bene, non è sempre un bene

Se tu non mi ami, io ti amo abbastanza per tutti e due – E. Hemingway, Per chi suona la campana



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