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Quel che resta del giorno

Creato il 22 febbraio 2013 da Tiziana Zita @Cletterarie

George Romney, Serena reading, 1780-85Mr. Stevens è un uomo con una missione: la perfezione. Kazuo Ishiguro, il suo creatore, ha saputo infondere nel suo personaggio la stessa cura quasi maniacale per la propria professione che, si direbbe, possieda anche lui. Non sarebbe altrimenti possibile spiegare una tale adesione al soggetto del suo più celebre romanzo, Quel che resta del giorno.
Il romanzo si sviluppa come un diario di viaggio. A scrivere in prima persona è appunto Mr. Stevens, un maggiordomo inglese che ha toccato il culmine professionale negli anni ’30, evocati attraverso il ricordo dei momenti più memorabili del suo servizio presso Lord Darlington di Darlington Hall. Mr. Stevens appare a tal punto compreso nel suo ruolo che sembra appartenere al luogo in cui lavora e che praticamente non ha mai lasciato.

Eppure da Darlington Hall si mette in viaggio verso la Cornovaglia, doverosamente ammirata nelle sue note dei sei giorni di viaggio, per la sua prima vacanza in tanti anni di lavoro. Scopo del viaggio è incontrare l’ex governante di Darlington Hall, Miss Kenton, ora Mrs. Benn. Sono passati vent’anni da quando la donna ha lasciato il lavoro per sposarsi e trasferirsi col marito in Cornovaglia. Occasionalmente i due si sono scambiati delle lettere e ora che Darlington Hall è stata acquistata da un americano e che il personale è stato significativamente ridotto, Mr. Stevens spera di poter convincere Mrs. Benn a tornare al lavoro, concludendo il suo matrimonio infelice e burrascoso.

Quel che resta del giorno
Ma a dispetto di quanto più volte ribadito nel corso del suo diario – e la ripetizione è significativa – le motivazioni di Mr. Stevens non sono di natura puramente professionale. Nei suoi ricordi emerge una componente sentimentale che spicca per la propria assenza. Mr. Stevens è sì un uomo con una missione, cui ha votato la propria intera esistenza, ma è comunque un uomo con desideri che evita proprio perché li ritiene incompatibili con la sua missione: o almeno questa è la scusa che si dà per soffocare qualsiasi emozione. Sotto la patina formale, quasi ampollosa, in cui Ishiguro fa esprimere il suo protagonista, emerge il bisogno un sentimento contro cui l’uomo combatte, quello per Miss Kenton, per l’appunto.

Mr. Stevens è l’essenza stessa del perfetto maggiordomo ma la sua perfezione richiede sacrificio e Mr. Stevens sacrifica per essa la propria individualità ed i propri sentimenti: così mentre suo padre sta morendo, lui è stoicamente al suo posto in sala da pranzo e quando Miss Kenton piange, lui non si fa mai toccare, né commuovere dal sentimento di lei, ma riporta sistematicamente e dolorosamente, la conversazione su un piano professionale. Un amore potenzialmente ricambiato viene annientato con la stessa meticolosità con cui si pulisce l’argenteria di casa e la sua riprovazione scende implacabile sulla cameriera e il valletto che scappano per sposarsi.

L’”autoaddestramento” e la disciplina, la dedizione richiesta dalla “responsabilità professionale” non sono in fondo diversi da quelli, ammirevoli e tragici, previsti dalla rigida morale del lavoro giapponese. Non deve quindi stupire se il giapponese Ishiguro, che ha vissuto a Londra dall’età di cinque anni, abbia saputo creare un personaggio così mimeticamente credibile da incarnare esemplarmente alcune delle più interessanti qualità inglesi.

Quel che resta del giorno
Ma Quel che resta del giorno va oltre, facendo emergere temi più profondi e universali: a cominciare da quello del trascorrere inesorabile del tempo, cui allude la stessa forma narrativa, costellata di flashback. Guardare al passato con nostalgia, come fa Mr. Stevens, fa emergere per contro il senso di inevitabile decadenza che avvolge il presente e vela il futuro di nubi. La malinconia e l’amarezza che accompagnano i ricordi sono abilmente e delicatamente mitigate da Ishiguro, grazie alla solida praticità che caratterizza il suo Mr. Stevens, uomo così totalmente privo di ironia da diventare talvolta divertente. E nonostante l’ammirevole proposito finale di migliorare, con lo sguardo sempre rivolto alla propria missione, e di “trarre il meglio da quel che rimane della mia giornata”, il lettore saluta il libro con il sospetto di aver imparato a conoscere nelle sue pagine un uomo incapace di cambiare realmente.

James Ivory, altro straniero (è americano) capace di indagare mirabilmente lo spirito inglese, nel 1993 ha tratto da questo romanzo uno dei suoi film più riusciti e coinvolgenti (vedi il trailer) grazie anche alle straordinarie prove d’attore dei due protagonisti, Anthony Hopkins e Emma Thompson. La sceneggiatura, firmata dalla sceneggiatrice di sempre di Ivory, Ruth Prawer Jhabvala, riprende fedelmente il libro, modificandone solo l’ordine temporale per ragioni di fluidità narrativa. La regia, trattenuta ed elegante, ricrea lo spirito del romanzo e cuce il film attorno ad Hopkins e allo stile irreprensibile di Mr. Stevens, mentre dosa con sapienza pubblico e privato.

Quel che resta del giorno
Le grandi vicende storiche degli anni ’30 e ’40, viste attraverso Lord Darlington e la sua improvvida fascinazione per il nazismo delle camice nere inglesi, si alternano così alla soffocata storia d’amore tra Mr. Stevens e Miss Kenton. Ivory ritrae spesso il maggiordomo mentre guarda fuori da una finestra, chiudendo così in questa immagine, iconica, l’intero racconto.

Rivedendolo, mi sono resa conto di quanto Downton Abbey sia debitrice nel confronti di questo film, a partire dal giornale stirato in una delle prime scene della serie. E quando il vecchio padre di Anthony Hopkins sale a fatica le scale in Quel che resta del giorno, sembra proprio Bates appena arrivato a Downton: di sicuro Julian Fellowes lo ha “rubato” da lì. Si sarà detto: “Voglio qualcuno per cui si provi questa stessa pena mentre sale le scale, ma che non sia vecchio”, così è nato lo zoppo Bates. Quando la casa si attiva con tutta la servitù perfettamente accordata e coordinata come per un concerto in cui ognuno abbia il suo posto e la sua partitura: anche questo è stato preso dal film. E che dire dell’amore sconfinato che Mr Stivens-Opskins nutre per il castello in cui vive e che ama più di un essere umano? Anche questo tema lo troviamo straodinariamente sviluppato nella serie, dov’è centrale la devozione tributata alla proprietà di Dontown Abbey.

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Ma, la scrittura è l’arte di rubare. La letteratura è una lunga serie di prestiti che diventano furti solo quando non funzionano, altrimenti sono, non solo legittimi, ma auspicabili. Quello che differisce tra il film e la serie è il tono: malinconico e in minore nel film, più gioioso e vitale nella serie.

“Mi capita spesso di pensare che terribile errore è stata la mia vita”: confessa Miss Kenton alla fine del film ed è ancora una volta un modo per dichiarare il suo amore al maggiordomo. Lui come al solito minimizza e non raccoglie quel momento di verità: “Sono certo che capiti a tutti di tanto in tanto”. E’ straziante, noi sentiamo che lui la ama ed è quello che ha sentito anche lei per tanto tempo, ma i due sono come treni che corrono paralleli su binari che non s’incontrano mai. E non s’incontreranno neanche di sera, in quella che per molti è la parte migliore della giornata, neanche in quel che resta del giorno…


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