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Quel pasticciaccio brutto di Via Nazionale

Creato il 30 gennaio 2014 da Zeroconsensus

Banca-d’Italia

Per l’ennesima volta zeroconsensus è costretto a scrivere due righe su quello che innumerevoli volte qui ho definto “ricatto bancario”. Mi riferisco alla enorme polemica politica sul decreto appena discusso in Parlamento e che erroneamente è stato definito come l’atto che ha sancito la “privatizzazione di Banca d’Italia”. Anche di questo in passato su questo blog abbiamo parlato, ma provo a procedere con ordine su questa complessa materia per quanto è nelle mie umili capacità.

Sgombriamo subito il campo: il provvedimento non ha privatizzato Banca d’Italia, anzi, ne ha ribadito, ancora una volta, la natura pubblicistica. Del resto era difficile fare diversamente sia per l’enorme portata politica di una privatizzazione della nostra banca centrale, sia perché vi è anche una sentenza della Corte di Cassazione, a sezioni civili riunite, che ne chiarisce la natura pubblicistica.

In realtà il provvedimento ci pone di fronte alla rivalutazione delle quote della banca. Una operazione, va detto, mostruosa nell’entità: da 156 mila euro a 7,5 miliardi di euro. Tale rivalutazione, che all’apparenza può essere considerata quasi innocua, ha in realtà effetti di portata notevole.

In primo luogo i bilanci delle aziende di credito private che ne detengono le quote hanno ovviamente benefici di natura contabile vedendosi rivalutato un loro asset. Bisogna però stare attenti, gli effetti contabili sulle banche proprietarie sono comunque molto minori a quanto si possa pensare; infatti esse già da molti anni valutavano in maniera del tutto arbitraria, le proprie quote, non al valore nominale ma per multipli di esso. Dunque è facile dire che il provvedimento legislativo sia sotto questo aspetto una enorme sanatoria di un comportamento non legittimo posto in essere dalle banche “proprietarie” della Banca d’Italia in sede di redazione del loro bilancio e dunque di valutazione di un proprio asset. E qui è facile trovare il primo colpevole di questa provvedimento, che come vedremo poi, è un vero pasticcio: il primo colpevole è la Banca d’Italia stessa che, ad umilissimo parere dello scrivente, non ha sanzionato l’iper valutazione stessa delle quote di Banca d’Italia iscritto a bilancio nel corso degli anni dalle banche commerciali.

Molti hanno scritto che questo provvedimento aiuterà le banche italiane a superare gli stress test previsti dalla Banca Centrale Europea in funzione dell’entrata in vigore della cosiddetta “unione bancarie”. Non è vero, ormai le iper valutazione di questo asset erano già poste in essere da anni dunque se vi è un miglioramento dei ratios patrimoniali delle banche proprietarie (grazie al provvedimento legislativo ) sarà comunque minimo. A voler essere malignissimi non è da escludere che sia stata proprio la BCE a chiedere una provvedimento legislativo per sanare l’evidente irregolarità, pena la cassazione delle iper valutazioni in sede di stress test europei. Ma questa è una interpretazione veramente maligna, anche se non è da escludere.

Un altro aspetto fondamentale del provvedimento è, a mio avviso, la possibilità da parte della Banca d’Italia di acquistare le quote eccedenti al limite massimo di quote che si potranno possedere nell’azionariato di Banca d’Italia stessa, quota che sono state poste al 3%.  Tali quote, dice la legge (art. 4, comma 6), devono essere acquistate a titolo temporaneo. Dunque Banca d’Italia potrebbe pagare con danaro sonante alle banche private sue “proprietarie” per la quota eccedente il 3%, questo andrebbe a finanziare le banche private. Altro aspetto fondamentale è che l’acquisto sia definito “temporaneo”: infatti non viene quantificata cronologicamente questo periodo “transitorio” . Inutile dire che viviamo nella nazione dove nulla è più definitivo di ciò che è temporaneo.

Andiamo oltre: se con la vecchia norma i dividendi erano quantificati con un massimale pari al 10% del vecchio capitale sociale (dunque pari alla cifra irrisoria di un massimo di 15 mila euro annui) ora il massimale dei profitti che i “proprietari” possono ottenere è pari al 6% del nuovo capitale sociale di 7,5 miliardi (dunque la ragguardevole cifra di 450 milioni di euro).  La differenza non è di poco conto considerato anche che i profitti della Banca d’Italia sono comunque il frutto di un attività assolutamente peculiare concessa dalla Stato e che viene, ovviamente, svolta in regime di monopolio.

Stendo un velo pietoso sul fatto che se i profitti che Banca d’Italia materialmente concederà saranno pari al massimale previsto, in appena 3 anni le banche private si rifaranno della leggera tassazione sulle plusvalenza ottenuta. Un affare favoloso.

Ultimo aspetto, potranno entrare nel capitale della banca centrale anche banche private straniere (se trasferiranno la sede legale in Italia). Siccome a questo mondo niente è definitivo compreso l’Euro, non vorrei che un giorno la Banca d’Italia, che è chiamata a difendere il potere d’acquisto della moneta usata dagli italiani, versasse – magari – un succulento dividendo proprio alle banche straniere che potrebbero speculare sulla moneta che emette. Sarebbe l’ultimo assurdo paradosso di un incredibile pasticciaccio all’italiana.



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