Inutile dire che sulla storia abbiamo fatto una figuraccia, e detto per essere polite. C'è indubbiamente stata molta confusione, molto disordine e un po' di ignoranza. Adesso la gravità di quei fatti rischia di diventare una pesante accusa di violazione dei diritti umani da parte delle associazioni internazionali.
Per di più, sullo sfondo c'è la delicatezza dei rapporti diplomatici tra Kazakistan e Italia, con aziende statali come Eni e Saipem impegnate da anni nelle estrazioni di petrolio nel Mar Caspio, argomento su cui poi torneremo.
Le dichiarazioni istituzionali, non è che poi abbiano risolto granché e anche quel passo indietro - l'annullamento dell'espulsione - sembra essere arrivato con il senso del vecchio saggio "la merda più la maneggi e più puzza". Roba unica pensare che la catena di comando che ha guidato e autorizzato le operazioni, si sia dipanata senza il coinvolgimenti di qualcuno al ministero, che sia dell'Interno - legittimo gestore di certe questioni - o degli Esteri, oppure della Giustizia. Nessuno sapeva tanto che sulla nota ufficiale della Presidenza del Consiglio (fonte governo.it) si legge: "Risulta inequivocabilmente che l’esistenza e l’andamento delle procedure di espulsione non erano state comunicate ai vertici del governo: né al Presidente del Consiglio, né al Ministro dell’interno e neanche al Ministro degli affari esteri o al Ministro della giustizia". Di quello che è successo, o che dovrebbe essere successo e del come questo potrebbe essere stato possibile, ne scrive Fiorenza Sarzanini sul CorSera, indicando una possibile catena di comando. Tuttavia è sempre il CorSera a sollevare dubbi sul fatto che le istituzioni fossero completamente all'oscuro di quel che stava succedendo: la prova sarebbe in un fax inviato il pomeriggio del 29 maggio scorso dal Cerimoniale della Farnesina all'ufficio Immigrazione della questura di Roma che chiedeva conferma del fatto che la donna godesse dell'immunità diplomatica. Perché è proprio qui il punto: Alma Shalabayeva è la moglie di Mukhtar Ablyazov, il dissidente che il 7 luglio 2011 ha ottenuto lo status di "rifugiato" dalle autorità della Gran Bretagna. Come è possibile che questo non risulti negli archivi della Farnesina?
Lo stesso se lo chiede l'avvocato Riccardo Olivo, legale della Shalabayeva, ricostruendo i fatti che, negli ultimi anni, l'hanno portata fin qui:
Alla signora Shalabayeva e a sua figlia Alua sono stati rilasciati dalle competenti Autorità britanniche, in data 1 agosto 2011, regolari permessi di soggiorno, con validità sino al 7 luglio 2016. A seguito di segnalazioni della Polizia Metropolitana di Londra, circa la sussistenza di un concreto ed imminente pericolo per l'incolumità sua e della famiglia e dell'impossibilità per la stessa Polizia di garantire loro un'effettiva e continua protezione onde evitare che Ablyazov venisse assassinato sul territorio Britannico, la signora Shalabayeva, pur in possesso dei permessi di soggiorno britannici, ha deciso di allontanarsi dal Regno Unito. Dopo un periodo in Lettonia, si è trasferita in Italia, facendo ingresso dalla frontiera con la Svizzera, nell'estate del 2012. A partire da tale momento dunque viveva sul territorio italiano, e più precisamente in una villa in affitto a Casal Palocco, con la figlia Alua, unitamente ad alcuni collaboratori domestici. La signora Shalabayeva ha condotto nel territorio italiano una vita assolutamente normale, non ha mai avuto alcun problema con le Autorità italiane, ed ha iscritto la propria figlia Alua ad una scuola di Roma, che ha frequentato regolarmente.Come dire: bastava chiedere a scuola.
Quello che è successo poi, quella sera nella villetta di Casal Palocco, nessuno lo sa di preciso. Probabilmente nel memoriale consegnato al Financial Times - per come l'ho letto io, almeno - Shalabayeva ha lasciato andare un po' la penna sul fiume dell'emotività e forse ha anche un po' calcato la mano per via della sua posizione politica. Fatto resta, comunque, che lo spavento davanti all'irruzione di quei cinquanta (cinquanta, neanche si trattasse del "macellaio di Hannover") uomini armati dev'essere stato enorme. E non so se effettivamente qualcuno alle incessanti richieste di capire il perché di tutto quel marasma e di conoscere chi erano quelle persone fatte da Shalabayeva, abbia realmente risposto "Io sono la mafia" - che francamente sarebbe la più stupida delle affermazioni, ma di quello stupido stupido e che non richiede altro che dire "stupido" -, ma di sicuro un difetto di comunicazione c'è stato. Nessuno che parlasse kazako, o russo, nessuno che capisse bene quello che i "catturati" stavano dicendo. Racconta Shalabayeva che gli è stato fatto firmare un foglio scritto in italiano, senza che nemmeno qualcuno lo traducesse (tanto che a fianco alla firma, avrebbe apposto una nota in russo: "non so cosa sto firmando").
Figura altrettanto pessima, questa sulla comunicazione. Alla quale si aggiunge l'assenza di buon senso, a rincarare la dose: davanti a donne e bambini magari si poteva andare un po' più soft. Ma io di certe procedure non me ne intendo.
Tutto questo sullo sfondo ha uno scenario ancora più pessimo: il petrolio kazako, controllato come fosse l'acqua del proprio frigorifero da Nursultan Nazarbaev. Personaggio che, nonostante il nostro ex premier Silvio Berlusconi lo definì "un caro amico" quella volta in cui raggiunse Astana - capitale Kazakistan - nell'ottobre del 2010, null'altro è che un dittatore. In quella stessa occasione Berlusconi disse di essere molto invidioso dei risultati di Nazarbaev, che era riuscito a costruire una città di un milione di persone in soli otto anni. Pensava ai suoi progetti per L'Aquila - c'era stato da poco il terremoto - il Cavaliere, peccato che l'altro invece pensava ai propri. Il modello Jañaözen, la città costruita da tempo come dormitorio ad uso degli impianti petroliferi e oggetto di pesanti scontri a cavallo tra il 2011 e 2012.
Su quelle vicende Human Rights Watch aveva pubblicato un dossier: le indagini condotte da diversi ispettori misero in evidenza continue violazioni dei diritti dei lavoratori da parte della Ersai Caspian controllata dall'Eni, che per molti mesi aveva rifiutato ogni trattativa sulle richieste salariali dei lavoratori, licenziando gli operai sindacalmente più attivi, minacciandoli e in qualche caso anche facendoli aggredire fisicamente. Si era parlato anche che le truppe del National Security Committee (KNB) - che poi è l'esercito - avevano sparato sulla folla.
Su questioni che legano Eni al Kazakistan e su un presunto giro di tangenti scriveva a metà giugno Il Giornale.
Il coinvolgimento di Ablyazov, molto attivo nel condannare le condizioni di lavoro degli operai del settore petrolifero kazako, sarebbe legato anche all'occasione di quella vicenda. Avrebbe agito da finanziatore degli scioperi.
Che la Cosacchia - così si usava da noi chiamare il Kazakistan una volta - non sia proprio il regno delle libertà e dei diritti, lo conferma anche l'arresto in occasione dei fatti di Jañaözen del leader del principale partito oppositore (Alga!) Vladimir Kozlov. Insomma per non dimenticare, non è mica troppo vero quel che disse a Nazarbaev quella volta Berlusconi: "Ho visto dei sondaggi realizzati da un’autorità indipendente che ti hanno assegnato il 92% di stima e di amore dal tuo popolo" ("certo perché se dicono diversamente li arresto").
Per tornare al 2010 e ai passaggi britannici della vicenda di Ablyazov e famiglia, c'è anche da citare questo articolo del Telegraph, che ai tempi parlava di alcune pressioni esercitata da funzionari del governo kazako nei confronti di quello inglese. L'obiettivo era evitare che fosse concessa ad Ablyazov - e famiglia - l'indennità diplomatica.
La leva per esercitare quelle pressioni era proprio il petrolio. Il Regno Unito infatti sarebbe tra i primi cinque investitori nel paese e i rapporti tra i due stati da sempre sufficientemente buoni: addirittura il figliastro del presidente Nazarbaev avrebbe ai tempi comprato dal Principe Andrew la residenza di Sunninghill Park tenuta vicino a Ascot, Berkshire, per 15 milioni di sterline, tre in più del reale valore.
Sulla minaccia di rivedere quegli "amicali" rapporti e di farla pagare alle ditte inglesi, spostando l'asse geopolitico degli interessi verso la Cina, il governo kazako aveva provato a forzare la mano. Ma gli inglesi concessero lo stesso lo status di "rifugiato" ad Ablyazov.
È di questi ultimi periodi, invece, la segnalazione che l'ambasciatore kazako ed il suo primo consigliere si sono mossi nei pressi della Questura di Roma, fino addirittura a salire le scale del Viminale il 28 maggio, giorno prima del blitz. Qui finiscono i fatti e potrebbero cominciare le opinioni: su questo si interroga Carlo Bonini su Repubblica (paywall).
Dunque al di là che l'Italia non si sia mossa con disinvoltura sulla vicenda, confermando gli impacci sulla gestione della comunicazione e soprattutto delle questioni internazionali, molti aspetti restano ancora dubbi. Così come, ad oggi, c'è dubbio sulle sorti di Alma Shalabayeva (e di sua figlia di 6 anni) alla quale sembrerebbe che appena arrivata in Kazakistan sia stata consegnata la notifica di un avvio di procedimento a suo carico.