Magazine Economia
di Paolo Cardenà- Mentre il Premier Monti,dall'Asia, ci fa sapere che la "crisi europea è ormai alle spalle e chel'Italia è un paese solido" ricordandoci, maldestramente, il suo predecessore che sognava ristorantipieni e luoghi di villeggiatura affollati, ci giungono dati che indicano in maniera pressoché univoca, contrariamente a quanto sostiene Monti,che l'Italia sta marciando speditamente verso il default.Quindi, al di là del tasso didisoccupazione che, nel mese di febbraio, ha raggiunto il 9.3% (31% per igiovani) al top del 2004, l'indice manufatturiero PMI giunto a 47.9, incontrazione da otto mesi, la produzione industriale letteralmente crollata , il livello dei consumi appena prima del trapasso, l'elevatonumero di fallimenti, il processo dideindustrializzazione in atto, il declino economico e sociale che sta vivendol'Italia, il deteriorarsi del quadro macroeconomico in tutto il contestoeuropeo e chi più ne ha più ne metta, preme offrire un piccolo ragionamento sufenomeni che sembrano sfuggire del tutto ai vari commentatori, Monti in primis.Analizzando la crescita economicain Italia nell'ultimo decennio e confrontandola con quella degli altri paesieuropei (ma non solo), come è noto, osserviamo che la nostra economia ècresciuta drammaticamente meno dei suoipartner e dei suoi competitor, manifestando così, un'incapacità cronica di sviluppo se non trainato da altre economie. Di certo,non si è cresciuti abbastanza e in sintonia con l'ampiezza del debito e con le proprienecessità.La dinamica, benché di per se giàallarmante, appare ben più grave se solo si considerasse che nel decenniopassato si è potuto godere, oltre che di un ciclo economico estremamente favorevole, anche di una facilità di accesso al credito su vastascala, forse irripetibile nel prossimo futuro e comunque senza precedenti nellastoria economica. Più o meno tutti gli attori economici hanno avuto la possibilità di accedere facilmenteal credito: lo hanno fatto le imprese per sostenere i programmi di investimento esviluppo;lo hanno fatto le famiglie per aumentare , almeno apparentemente, il propriotenore di vita e il proprio status sociale, o magari per finanziare l'acquistodi abitazioni o beni durevoli e quant'altro. Il credito facile, in buonasostanza, è stato il principale motore di sviluppo economico nel nostro paesecontribuendo a favorire dinamiche virtuose un po' in tutti i settori economici:l'immobiliare in testa. Ma ciò, non èstato comunque sufficiente per colmare il gap esistente con altre economie eridurne gli svantaggi competitivi.Ora la musica sembra esserecambiata. Il mondo bancario, nonostante il mega finanziamento ricevuto dallaBCE, sembrerebbe che di concedere credito, non voglia sentirne parlare. Non lofa principalmente perché le banche hannotra i propri attivi, crediti fortemente deteriorati e di dubbia esigibilità; epoi perché, verosimilmente, vedono cheil ciclo economico è ben lontano dal manifestare una inversione di tendenzatale da permettere politiche creditizieespansive.La cosa certa è che,eventualmente, quando le condizioni del credito si saranno stabilizzate e lebanche riprenderanno a fare le banche, sicuramente, non concederanno più creditisu vasta scala come in passato e manterranno comunque un approccio stringente eselettivo sulle qualità patrimoniali e reddituali dei soggetti eventualmente affidabili. Quindi, l'economianon potrà più godere, contrariamente alpassato, del motore propulsore che ha caratterizzato la crescita economicaitaliana ( e non solo) almeno nell'ultimo decennio. Assunto per certo il fattoche l'Italia, per potersi salvare, ha bisogno di esprimere una vigorosacrescita economica, appare più che legittimo chiedersi cosa potrà far crescereil Paese nell'immediato futuro, non avendolo fatto in passato con condizioni estremamente più favorevolirispetto alle attuali e a quelle future.In tal senso le riforme strutturali di cui l'Italia ha bisogno, ammesso che siriesca nell'intento di riformare, almeno in parte, il Paese, produrrà, eventualmente, effettipositivi in tempi ben più lunghi e certamente non conciliabili con quelliimposti dalla crisi che, contrariamente a quanto dice Monti, non ha ancora toccato il puntoapicale.
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