“Noi il registro delle unioni civili lo vogliamo fare, ma non lo vogliamo dire. Quindi non scriverlo per favore: scrivi che siamo attenti al problema dei diritti, che li vogliamo ampliare”. Così affermava Stefania Bonaldi in campagna elettorale. L’intenzione di procedere a un registro delle unioni civili non è già più così “scandalosa” nemmeno in una colonia vaticana come l’Italia, dove molti provano timor sacro anche di fronte al peggior prete del mondo. Il Comune di Milano ha già votato il suo registro, nessuna rivolta di popolo. L’obiettivo di chi si batte per i diritti, come Enrico Martinelli del Pd, e il Pd stesso, è più alto. Il registro è solo l’inizio. L’Italia dovrà pur diventare un Paese europeo e non discriminare più per motivi di orientamento sessuale.
Ma perché Stefania Bonaldi temeva di dire in campagna elettorale qualcosa che già aveva affermato in altre circostanze?
E’ questo che sconvolge, nella strana vicenda del dico non dico: “Se lo diciamo, poi non riusciamo a farlo, e noi vogliamo farlo”.
Si può accettare una politica che non dice quello che farà? Perché gli elettori devono votare senza sapere quello che il candidato farà? Amplierà la gamma dei diritti. Bene. Quali? Non si può sapere.
Stefania Bonaldi (Pd) è una figura assai nuova, ma condizionata da un ambiente sociale stravecchio. Se nemmeno il sindaco di Crema riesce a parlare liberamente qualche problema c’è. E ci vorranno scossoni in serie per poter ringiovanire Crema.
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