Magazine Lavoro
Ho conosciuto tempo fa Luigi Bresciani, segretario della Cgil di Bergamo. E’ il dirigente sindacale, non contestato con argomenti convincenti, ma colpito al viso con un gesto violento. Non da un crumiro, non da un sicario fascista, bensì da un delegato della Fiom (seguace di Giorgio Cremaschi e non di Landini). Il tutto durante una seduta congressuale, una delle tante che preparano l’assise nazionale. Avevo incontrato Luigi Bresciani per una rievocazione di Luciano Lama. Ecco, ora, mentre leggo le cronache di quell’episodio rimango triste e stupefatto. E mi chiedo che cosa direbbero, se fossero ancora in vita, uomini come Lama, come Trentin, come Garavini, come Foa, per non parlare di Di Vittorio, Santi, Boni. Certo potrebbero guardare con angoscia alle sorti di questo Paese stremato dalla disoccupazione e dalla precarietà, ma darebbero in escandescenze di fronte a un episodio come quello di Bergamo.
E non si facciano paragoni insensati. Una cosa sono i bulloni scagliati a Firenze nel 1992 da una folla delusa, in polemica per accordi indigeribili, una cosa è un atto che ricorda risse da osteria, nella sede autorevole di un congresso Cgil. E non basta, credo, l’indignazione, oppure il ricorso a misure repressive, la tacitazione del dissenso. E’ sperabile che si corra ai ripari rifacendosi alle armi del confronto democratico. La Fiom, come si sa, non condivide l’apprezzamento per un’intesa sulla rappresentanza che finalmente (dicono tutte le altre categorie) misura l’entità quantitativa dei sindacati e non lascia la “conta” nelle mani furbe di ogni singola organizzazione. Ma ci sono aspetti come le sanzioni per chi non rispetta gli accordi (anche per gli imprenditori) e l’intervento mediatorio delle confederazioni, che non piacciono.
E’ stata rivendicata, come da statuto, un’approvazione affidata agli iscritti e alla fine la Cgil l’ha decisa. Ma le sue modalità non soddisfano. Alcuni giuslavoristi di fama, come Umberto Romagnoli, hanno spiegato che la Fiom ha ragione. Ora però sarebbe opportuno riportare il dissenso nelle regole di un confronto democratico. Se si accusano non le tre confederazioni, ma tutte le categorie (dagli edili, al pubblico impiego, ai tessili, ai chimici eccetera) di muovere un attacco alla democrazia, si fanno passare Camusso e tutti gli altri, come tanti Marchionne usurpatori dei diritti di chi lavora. E così additando si eccitano gli animi e si trasforma la discussione in rissa. Negli stessi giorni in cui il Paese avrebbe bisogno di un guizzo di vitalità e di speranza. Mentre oggi appare fermo, bloccato, privo di energia anche nelle sue parti migliori, quelle che si richiamano al lavoro. Qualcuno, autorevole, dovrebbe lanciare un appello alla Camusso e a Landini. Soprattutto a quest’ultimo. Un dirigente spesso invidiato perché “buca il video” e che molti, da destra e da sinistra, additano come intento a costruire un nuovo soggetto politico. Io sono convinto che lui sappia benissimo che oggi, con i tempi che corrono, l’unico spazio politico chiaramente di sinistra può resistere e innovare, nel suo sindacato, nella sua Cgil. Se rimane unita nella bufera.
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