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Non c'è un istante di cinema in Youth - La giovinezza.
Opera completamente chiusa in se stessa, opaca fino al midollo, pronta a procedere con far sentenzioso per tutta la sua durata. Ma, soprattutto, non c'è verità nelle figure messe in scena da Sorrentino perché si ritrovano sepolte da un flusso incessante di immagini laccate e compiaciutissime, di dialoghi scritti fino al midollo, di raccordi che, in un solo sguardo, uniscono barocco e trash (ancora!). Tra Novalis e Maradona, gli squallidissimi anziani protagonisti sono manovrati da un burattinaio che non lascia scampo, che li guarda - e giudica - ferocemente senza mostrare mai un'istante di tenerezza, un pizzico di autenticità. Non c'è cuore, non c'è anima, solo una successione noiosissima di scene madri che finiscono per svuotare il film.
Il suo cinema è - qui più che mai - una gabbia oscena dove architetture visive, geometrie compositive, stacchi di montaggio, ci restituiscono un mondo senza via di uscita, un'opera così presa da se stessa, e dalla sua stessa riuscita, da far inorridire. Con un Michael Caine imbalsamato che fa Servillo mentre dirige un concerto tra mucche, "Youth" asserisce massime banalissime sulla vita, sul cinema, sulla vecchiaia e sulla giovinezza, ma, ancora una volta, sotto tutto questo, c'è il nulla più dilagante. E di quella leggerezza tanto promessa non c'è nemmeno traccia: rimangono figure pesanti mai capaci di prendere il volo, di emanciparsi da una trappola cinetica che li costringe a dire sempre le stesse battute, a fare sempre gli stessi gesti, e così via fino all'eternità. Ostentando una profondità che non ha mai avuto, Sorrentino continua a non avere niente da dire, mentre muove la macchina qua e là, tra volgari stacchi di montaggio e sterili virtuosismi compositivi. Non c'è mai una domanda in Youth, un errore, un tentennamento, qualcosa in grado di far vibrare lo schermo, ma neppure un istante - uno solo - di dolore autentico: tutto rimane fermo nel girotondo asfissiante di chi non ha mai imparato a far respirare un'immagine. Tutto è risposta, frase a effetto, scrittura posticcia, idiozia programmatica di un'umanità cui non rimane altro che morire e lasciarsi andare. Perfino la malinconia è divenuta merce ricattatoria con cui strappare una lacrima.
post scriptum: sono da sempre contrario alla tifoseria (anti)cinefila, ma qui non si tratta di tifoseria. Si tratta di schierarsi contro una concezione di cinema immobile, idiota, completamente chiusa in se stessa, che non riesce mai ad aprirsi all'altro, all'indebito, all'eventuale, all'inatteso, ma si mantiene rigidissima e stanca, per pura, irritante vanagloria. Quello di Sorrentino rimane il cinema più immobile, più imbalsamato del mondo.
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