Magazine Cultura
Diffido, in genere, dai libri intervista agli scrittori. E pensare che questo è anche piuttosto corposo, altro che pochi capitoletti giusto per fissare un cammino intellettuale, una visione del mondo o una giratina più o meno frettolosa nel laboratorio di scrittura di un autore.
Ma Ad occhi aperti - volume (edito da Bompiani) che raccoglie le conversazioni di Matthieu Galey con Marguerite Yourcenar - è molto di più e ci restituisce pienamente il fascino, la complessità, la singolarità di questa scrittrice. Conversazioni appunto. E sembra quasi di vederli, i due, nella veranda di Petite-Pleasance, la casa dell'isola dell'Atlantico, davanti alla costa del Maine, che la Yourcenar aveva scelto di abitare. Casa di silenzi, di gesti antichi come fare il pane in casa, di parole distillate dalle letture.
Quasi impossibile non trovare in questo libro spunti capaci di alimentare la nostra curiosità o la nostra riflessione.
E così, spizzicando in qua e là:
La convinzione che anche per una grande scrittrice non è facile essere compresa dai suoi lettori: Sono sicura del contrario. Certi lettori si cercano in ciò che leggono e non vedono altro che se stessi
La consapevolezza che scrivere non è una sofferenza: E' un lavoro, ma è anche quasi un gioco, e una gioia, perché l'essenziale non è la scrittura, è la visione
E i personaggi dei propri romanzi che continuano ad abitare la vita: Sono tutti presenti, come sono presenti anche i vivi che amo o che mi interessano, presenti o passati
Le ragioni di una sana reticenza: Molti si raccontano meno di quanto non si ripetano
L'idea curiosa che gli scrittori sono portati a situare avvenimenti e personaggi nelle stagioni contrarie a quelle in cui scrivono (lo aveva già notato Jean-Jacques Rousseau, a lei è successo sia per le Memorie di Adriano che per L'opera in nero)
Ma soprattutto quel sorprendente senso di compassione.
Basta qui, sono già andato "lungo", ma di questi spunti e altri voglio continuare a parlare qui.
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