Lezioni condivise 94 – Le ideologie del risorgimento
La propaganda dei “moderati” penetra nella gente come l’edera negli interstizi, così da sempre ci portiamo dietro dei luoghi comuni che è arduo estirpare.
L’errore della “sinistra” da tempo è inseguire questa categoria inesistente sul suo terreno, con il risultato che non c’è più sinistra, o almeno non c’è più come una volta. Sintetizzo il concetto.
Per questa ragione e per esperienza, diffido di chi si definisce “moderato” o anche “riformista”, perché in realtà so che ho davanti dei reazionari e in alcuni casi anche peggio.
Tre anni fa una parte di italiani, o forse è il caso di dire, una minoranza di italiani, ha festeggiato, anche con sfoggio di armamenti, i 150 anni di unità dello stato, unità che in realtà è sempre stata solo sulla carta sotto quasi tutti gli aspetti e che con il passare degli anni si è indebolita sempre più.
Tre anni fa si è fatto sfoggio di retorica a più non posso, robe che non si vedevano più dai tempi del fascismo o dal neofascismo missino. Il cosiddetto “risorgimento” italiano è stato l’opposto della Rivoluzione francese ed è palese se si confrontano, ammesso che si possa, i due stati.
I valori della Rivoluzione non hanno mai attecchito in Italia, perché questo fantomatico “risorgimento” non è stato altro che la conquista di territori da parte della monarchia sabauda e dei suoi seguaci conservatori, anche se talvolta portavano la camicia rossa.
Certi storici si sono fatti in quattro per cercare di far passare un’anima almeno “democratica” del risorgimento, ci hanno provato in buona fede anche i partigiani, forse meno in buona fede il PCI. La mettano come vogliono il risorgimento italiano puzza di monarchico, di oscurantismo…
L’ho già detto nelle lezioni precedenti, l’argomento non mi appassiona, per quanto si cerchi di trovare qualche elemento positivo, si trova ben poco e marginale, nonostante su alcune figure si sia pompato parecchio come dicevo, perché è evidente che a tanti non fa piacere pensare a questo risorgimento così culturalmente futile.
Siccome di retorica se ne è fatta a bizzeffe, non mi unirò pure io al coro; Cavour, Garibaldi e i Savoia, diventati re a spese della Sardegna, fateveli raccontare da qualcun altro. Quello del risorgimento è certo un periodo storico raccontato male, per favorire l’enfasi patriottica si è taciuto su tanti fatti che metterebbero le cose sotto una luce diversa e in alcuni casi si è fatta un’operazione di mistificazione ascrivendo al risorgimento fatti che con esso non avevano nulla a che vedere, relativi alla ordinaria lotta contro l’oppressore negli stati, ora delle due Sicilie, ora in Veneto o nello stato Pontificio.
Il risorgimento propagandato dal regime fascista e post-fascista come avanzata eroica dei garibaldini, si è macchiato di crimini paragonabili solo a quelli che oggi compie il califfato islamico tra Iraq e Siria. Paesi campani tra cui Pontelandolfo, Casalduni, Campolattaro, Auletta, rasi al suolo dal generale piemontese Enrico Cialdini, i partigiani massacrati, le donne violentate, e di questo signore e altri criminali come lui sono piene le vie di paesi e città.
Il rosso camiciato Garibaldi che incontrava baroni e notai, li riempiva di doni piemontesi e derubava la povera gente per sfamare le sue truppe. Questi atti provocarono negli abitanti del sud la comprensibile reazione, i contadini si unirono ai briganti per resistere agli occupanti, una resistenza di cui i libri di storia tacciono, come del massacro dei partigiani caduti sotto le imboscate di garibaldini e piemontesi, uno per tutti il caso di Venosa in Lucania, con tre fratelli giudicati disertori, uccisi e gettati nella piazza del paese come monito. O che dire della tragica giornata del 6 agosto 1863, quando lo sciopero degli operai di Portici, costretti a lavorare 12 ore al giorno, furono soffocate nel sangue dai bersaglieri!
Lo stato ha sempre parlato di questione meridionale senza mai risolverla, soprattutto ha sempre considerato le regioni a sud della linea gotica e soprattutto quelle più meridionali, come territori conquistati, assoggettati a ruberie e impoveriti, privati anche delle possibilità di reagire, l’ignoranza e la propaganda nelle scuole hanno fatto il resto, per cui questi nemici dell’Italia, si considerano più italiani di quelli che in realtà lo sono per definizione. Un drammatico paradosso.
In questo scenario salvare qualcosa del risorgimento diventa un’operazione piuttosto complessa e quel poco che c’è non è ascrivibile al risorgimento, perché riguarda chi quella battaglia l’ha persa.
Le rivolte giacobine spontanee, le rivolte delle popolazioni affamate, le insurrezioni cittadine, tutto riunito dalla propaganda di stato in quello che viene detto risorgimento: ecco dove bisogna riscrivere la storia.
Episodi pochi, qualche uomo, ma raramente integro del tutto, forse l’unico è Carlo Cattaneo (di cui ho già parlato). Egli tra i pochi illuminati del tempo, era come tale molto avanti, un radicale, di sinistra, protagonista delle “cinque giornate di Milano” e fondatore della rivista “Il politecnico”, le sue teorie politiche erano originali e anticonformiste, federalista tra fitte schiere di centralisti, europeista e cosmopolita, in mezzo a nazionalisti, avvicinato agli anarchici, è attento a che la rivoluzione non diventi distruzione, ma costruzione di uno stato giusto. Avversava dunque il conservatorismo dei ceti aristocratici ed anche il moderatismo prevalente tra i liberali, in nome di un radicalismo progressista che rientra nelle esigenze della moderna borghesia produttiva, classe autenticamente “rivoluzionaria” nell’Italia arcaica e rurale dell’epoca.
Chi altro salvare, Mazzini? Si è parlato tanto di lui in questi anni, qualcuno si è spinto a definirlo estremista, terrorista, forse perché nell’equazione con se stesso ne risultasse qualcosa almeno di “progressita”, ma Mazzini emerge in questo senso solo perché tutto il resto era più reazionario che si potesse. Impelagato in veti di coscienza con se stesso, fondò infine una società segreta (la Giovane Italia) che ebbe solo importanza nominale. Fu arrestato, ma non costituì mai un efficace pericolo per la monarchia, tormentato da dubbi infiniti, tra democrazia e populismo. Queste sue posizioni lo allontanavano dalle classi popolari e dall’azione in sé. Non riuscì mai a incidere e fu sopravvalutato anche dai suoi nemici.
Per completare le ideologie cito soltanto il neoguelfismo, che si rifaceva ad uno stato sotto la guida della chiesa, l’esponente più in vista fu Gioberti (dopo varie peregrinazioni qui e là), ve lo regalo.
Santorre di Santarosa, rappresenta forse la sintesi dei personaggi del risorgimento, totalmente invischiato nella monarchia (tanto da essere ministro sotto Carlo Alberto) pensava di poter far accettare ai Savoia una monarchia costituzionale, poi perseguitato da Carlo Felice per questo, morì in esilio partecipando alla rivoluzione greca. Né carne, né pesce.
In quel periodo cosiddetto risorgimentale in realtà accadono cose molto più importanti, come la nascita della classe operaia e dell’ideologia socialista, tema di cui ho già parlato, la sociologia con Comte, come sviluppo del positivismo.
Con il socialismo nasce immancabilmente anche il riformismo, dovrei dunque riallacciarmi alla premessa, invece provo a succhiare due cose serie dall’ideologia riformista, che è cosa diversa dai riformisti, specie quelli odierni.
La definizione è pessima (vedi Bobbio). In realtà il riformismo nasce in ambito socialista, non come ideologia alternativa, ma unicamente come metodologia per realizzare il socialismo.
Con il tempo a questa idea ci hanno messo mano in tanti, allontanando di tanto l’obiettivo iniziale, ma il fatto positivo e realista, quanto utopico, è arrivare al socialismo gradualmente, secondo un processo democratico, dunque costruttivo e non distruttivo, che non sia a scapito della libertà – dunque preveda la possibilità di disobbedienza (Fromm) – e dell’uguaglianza (Jean-Jacques Rousseau).
Anche la critica, tanto osannata dalla tradizione marxista, è soltanto la premessa del fare riformista, non ne è il contenuto; proprio perché il riformismo è soprattutto fare, piuttosto che contestare.
Giller Martinet teorizzò il riformismo rivoluzionario, riforme politiche in stretto sintonia con l’azione di massa nelle fabbriche e nella società.
Prima ho citato l’utopia, comunemente considerata sinonimo di irrealizzabile, ma io non l’ho usata in questo senso. Per Bronislaw Baczko, le utopie esprimono immagini-guida, idee-forza, talvolta verità premature, utili a mobilitare energie collettive e ad orientarne le speranze.
(Storia del risorgimento – 7.4.1997) MP