Quelli che fanno rat-ing

Creato il 25 gennaio 2012 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Leggo sul sito dell’agenzia: Fitch Ratings è una primaria agenzia globale di rating impegnata a fornire ai mercati del debito nel mondo opinioni sul rischio di credito, indipendenti, tempestive e prospettiche.
Non si sa da quale prospettiva si possa guardare la notizia che la procura di Trani ha aperto un terzo filone d’indagine, dopo Moody’s e Standard & Poor’s, mettendo sotto inchiesta due dipendenti di Fitch, David Riley, responsabile dell’agenzia di rating e Alessandro Settepani, director senior, che avrebbero rilasciato “annunci” preventivi inerenti l’imminente declassamento della repubblica italiana, “abusando così di informazioni privilegiate che, concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, venivano divulgate a mercati aperti”.

Qualche volta la vendetta è buona anche bollente e immagino che ci sia una certa voluttà nel perseguire i killer al soldo della turbo finanza. Anzi mi auguro che in Grecia, come si faceva un tempo in Cina con gli esattori delle tasse mandati dall’imperatore, abbiano provveduto a lapidare i corrispondenti locali delle Parche. Quando si dice che le Borse sono nervose, si sa che le tre inesorabili divinità Mody’s, Standard & Poor’s e Fitch con il 95% del mercato, hanno avuto la funzione della cocaina, al servizio del profitto e per macinare profitti. Che colpa ne hanno se al mercato serve un lavoro sporco, loro lo fanno e se poi ogni tanto usano le loro informazioni per arrotondare, in fondo è un peccato veniale che dividono con molti altri, funzionari di banca più o meno elevati, giornalisti più o meno influenti.
E non sono i soli nemmeno a dedicarsi proficuamente a quelle profezie auto avveranti, che anziché star dietro i timori dei mercati, li anticipano e li provocano, usando i declassamenti come l’arma impropria e micidiale della finanza più che della moneta.

Certo questa capacità profetica pare funzioni a tempi alterni: misteriosamente non si sono accorte della bolla immobiliare Usa, hanno trascurato gli effetti del gioco d’azzardo die derivati, neanche fossero macchinette dei bar, pensavano che a Atene andasse tutto bene. Hanno emesso attestati di solidità dalle a “beneficio” dei risparmiatori su grandi banche d’investimento alla vigilia del loro clamoroso fallimento (per la storia: nel 2008 sette giganti “votati” con titoli lusinghieri dalle agenzie di rating, Aig., Bear Sterns, Citigroup, Contrywide Financial, Lehman Brothers, Merryl Lyngh, Washington Mutual, collassavano con perdite di 107 miliardi di dollari, non gravanti sui loro dirigenti che nel frattempo – 2007-2008 – intascavano 450 milioni di dollari).

Dopo aver fatto il loro sporco mestiere negli Usa, adesso, in un intreccio inestricabile di banche, istituti di credito, finanziarie, fondi, insomma tutta la rapace paccottiglia della turbo economia, e tutta la solita nomenclatura di azionisti e consulenti, si danno da fare in Europa. E in Italia, un relitto intorno al quale si affaccendano molti corsari.
E siamo alle solite, si presentano come organismi tecnici, ma hanno assunto un ruolo sempre più politico, esuberando dalle funzioni di controllo dei rischi e attribuendosi il compito di giudicare l’affidabilità complessiva del debito pubblico dei governi.
Il burattinaio, senza fare nessun complottismo, è quel mercato finanziario integrato e forte, che si contrappone a un sistema politico diviso e fragile.
Sono i suoi porte parole e i suoi sbriga faccende da quando la liberalizzazione dei movimenti internazionale e delle transazioni finanziarie ha tolto la museruola al capitale e permesso che si esprimesse in tutta la sua bestiale e fredda ferocia sovvertendo i rapporti di forza tra denaro e lavoro e tra profitto e democrazia e erodendo via via sovranità agli stati e ai popoli.
Ha ragione chi dice che l’audace prepotenza delle agenzie di rating è forte dell’integrazione del mercato finanziario internazionale cui si contrappone la frammentazione del potere politico mondiale.

La risposta alla loro guerra sta nella riconquista di un pensiero democratico. Il capitalismo e questo capitalismo non può essere blandito, addolcito, civilizzato, nemmeno indebolito. Dobbiamo diventare noi i più forti.


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