Già lo scorso agosto, quando il governo Berlusconi era impegnato nella discussione di una nuova manovra finanziaria nel tentativo di rimettere a posto i conti, diversi commentatori chiesero che dopo molti anni si rimettesse mano ai numerosi privilegi economici di cui gode la Chiesa cattolica italiana. L’argomento che la Chiesa gode di privilegi che costano molti soldi allo stato, e che eliminandoli si potrebbe chiedere meno sacrifici ai cittadini, è rientrato nella discussione dopo la manovra del governo Monti. Nella manovra è compreso l’anticipo dell’IMU, l’Imposta Municipale Unica prevista dal federalismo fiscale che corrisponde più o meno alla vecchia ICI, a partire dal primo gennaio 2012. Torna di attualità quindi la questione di quali immobili (e di quali enti proprietari) possano beneficiare dell’esenzione. Fin dalla sua istituzione, nel 1992, sono stati esenti dal pagamento della tassa tutti gli immobili che erano utilizzati da un ente non commerciale e che avevano alcune finalità di utilità sociale: ovvero, come diceva l’articolo 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992, gli immobili “destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”, oltre che alle attività di culto religioso (ovviamente, di qualsiasi religione che sia riconosciuta dallo Stato italiano e non solo di quella cattolica). Un elenco parziale comprende gli immobili di proprietà delle associazioni di volontariato, delle associazioni sportive dilettantistiche, delle ONLUS, dei sindacati e degli istituti previdenziali, dei partiti politici, degli enti pubblici e delle fondazioni, a cui lo stato italiano concede un’esenzione fiscale proprio in ragione dell’utilità sociale delle attività che vi si svolgono. Ma il patrimonio immobiliare che possiede la Chiesa, in particolare, è molto esteso, e comprende anche appartamenti e attività commerciali, come librerie o alberghi. Bisogna precisare per prima cosa che “la Chiesa”, come soggetto giuridico, non esiste: esiste lo stato del Vaticano, che è uno stato sovrano distinto dall’Italia, ma le proprietà ecclesiali sono quelle di una galassia di enti molto differenti, dagli ordini religiosi alle singole parrocchie alla Conferenza Episcopale Italiana. In linea teorica, le proprietà ecclesiali che hanno fine commerciale devono pagare le imposte ai rispettivi Comuni, ma è innegabile che esista una lunga disputa giuridica per precisare quali di esse siano oggetto di esenzione. Esistono probabilmente casi ambigui (come si categorizza un convitto universitario in cui gli ospiti hanno come unico “obbligo” la frequenza a un’ora settimanale di funzione religiosa? è sufficiente a consentirne l’esenzione?) che, tuttavia, gli stessi esponenti delle gerarchie ecclesiastiche dicono di voler chiarire, ammettendo l’esistenza di un problema. Diversi commentatori, e da ultimo un editoriale di Avvenire, ci tengono a precisare che le proprietà ecclesiali sono esenti solamente quando l’intero immobile viene utilizzato per l’attività che garantisce l’esenzione, e che è falsa la voce secondo cui basta una piccola cappella destinata al culto religioso per esentare dall’ICI un grande albergo, o un negozio, o un ristorante.
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Già lo scorso agosto, quando il governo Berlusconi era impegnato nella discussione di una nuova manovra finanziaria nel tentativo di rimettere a posto i conti, diversi commentatori chiesero che dopo molti anni si rimettesse mano ai numerosi privilegi economici di cui gode la Chiesa cattolica italiana. L’argomento che la Chiesa gode di privilegi che costano molti soldi allo stato, e che eliminandoli si potrebbe chiedere meno sacrifici ai cittadini, è rientrato nella discussione dopo la manovra del governo Monti. Nella manovra è compreso l’anticipo dell’IMU, l’Imposta Municipale Unica prevista dal federalismo fiscale che corrisponde più o meno alla vecchia ICI, a partire dal primo gennaio 2012. Torna di attualità quindi la questione di quali immobili (e di quali enti proprietari) possano beneficiare dell’esenzione. Fin dalla sua istituzione, nel 1992, sono stati esenti dal pagamento della tassa tutti gli immobili che erano utilizzati da un ente non commerciale e che avevano alcune finalità di utilità sociale: ovvero, come diceva l’articolo 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992, gli immobili “destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”, oltre che alle attività di culto religioso (ovviamente, di qualsiasi religione che sia riconosciuta dallo Stato italiano e non solo di quella cattolica). Un elenco parziale comprende gli immobili di proprietà delle associazioni di volontariato, delle associazioni sportive dilettantistiche, delle ONLUS, dei sindacati e degli istituti previdenziali, dei partiti politici, degli enti pubblici e delle fondazioni, a cui lo stato italiano concede un’esenzione fiscale proprio in ragione dell’utilità sociale delle attività che vi si svolgono. Ma il patrimonio immobiliare che possiede la Chiesa, in particolare, è molto esteso, e comprende anche appartamenti e attività commerciali, come librerie o alberghi. Bisogna precisare per prima cosa che “la Chiesa”, come soggetto giuridico, non esiste: esiste lo stato del Vaticano, che è uno stato sovrano distinto dall’Italia, ma le proprietà ecclesiali sono quelle di una galassia di enti molto differenti, dagli ordini religiosi alle singole parrocchie alla Conferenza Episcopale Italiana. In linea teorica, le proprietà ecclesiali che hanno fine commerciale devono pagare le imposte ai rispettivi Comuni, ma è innegabile che esista una lunga disputa giuridica per precisare quali di esse siano oggetto di esenzione. Esistono probabilmente casi ambigui (come si categorizza un convitto universitario in cui gli ospiti hanno come unico “obbligo” la frequenza a un’ora settimanale di funzione religiosa? è sufficiente a consentirne l’esenzione?) che, tuttavia, gli stessi esponenti delle gerarchie ecclesiastiche dicono di voler chiarire, ammettendo l’esistenza di un problema. Diversi commentatori, e da ultimo un editoriale di Avvenire, ci tengono a precisare che le proprietà ecclesiali sono esenti solamente quando l’intero immobile viene utilizzato per l’attività che garantisce l’esenzione, e che è falsa la voce secondo cui basta una piccola cappella destinata al culto religioso per esentare dall’ICI un grande albergo, o un negozio, o un ristorante.
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