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Quello che c’è “Dentro”: i tre segni di Sandro Bonvissuto

Creato il 24 febbraio 2014 da Diletti Riletti @DilettieRiletti
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Prendete una matita, un pennarello e una penna e tracciate tre linee, usate la vostra mano dominante, niente stranezze e arzigogoli ma solo tre semplici linee parallele. La stessa persona, punte diverse, diversi risultati scaturiti da un gesto simile. Questo è il modo in cui riesco a rappresentarmi visivamente la raccolta “Dentro”, esordio letterario di Sandro Bonvissuto.

È dentro appunto che si apre questo contenitore, col primo dei tre testi dal titolo Il giardino delle arance amare, l’interno inteso come condizione intima ma anche esteriore, costretta, impossibile da cambiare: il carcere. In un momento storico nel quale le carceri esplodono e ribollono eppure se ne parla a ondate mediatiche è utilissimo leggere le parole così potenti e feroci di Bonvissuto. La ferocia deriva paradossalmente dall’assoluta assenza di piagnistei, dal racconto crudo e asciutto di una condizione immutabile per chi è in una cattività involontaria, seppure conseguenza di azioni delittuose. Quei muri costruiti per dare tormento -descritti come strumenti di violenza perfetti dall’autore- ci sembrano nella lettura più vicini, più incombenti, capaci addirittura di pensare e, carogne, stringersi all’occorrenza per essere più cattivi. Non si crea fratellanza tra i detenuti ma coesione, necessità di unione per sopravvivere alla reclusione, alla distanza dal mondo, al tedio, alla nostalgia, a quei muri. E ai giorni, unica unità di misura reale. E quindi il mondo si divide solo in due posti: lì dentro e qui fuori. La scelta del racconto in prima persona, niente affatto scontata, appare dopo la lettura l’unica possibile: non vi sono colpi di scena, l’avanzare d’una trama che porta ad una redenzione e/o a una rivelazione. Noi e lui, il detenuto, attraversiamo i giorni, soffriamo il tempo padrone e lo spazio costretto eppure, nell’assenza di un vero vissuto, chi legge non può staccarsi, annoiarsi, perdersi.

Il secondo racconto lascia l’età adulta e abbraccia l’adolescenza, ne Il mio compagno di banco l’orizzonte cambia drasticamente, non vi sono barriere ma una ricerca, talvolta involontaria, d’una identità percepita attraverso l’altro, nell’ultimo dei tre, Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta, il salto è ancora più indietro, ai giorni dell’infanzia in cui un passaggio epocale pare, al bambino, l’urgenza di essere capace di andare in bicicletta. E di nuovo nessuno appare libero, nemmeno nell’età che più di tutte dovrebbe esserlo: quella dell’infanzia. C’è sempre qualcosa, qualcuno, c’è sempre il tempo tiranno che ti fa essere in ritardo, e la condizione umana non appare quella millantata di una presunta libertà. Unica pecca di questi due testi? Trovarsi così vicini al primo fratello scomodo, tanto ben scritto, tanto dirompente, tanto forte da oscurare questi due per lasciarsi impresso nella memoria del lettore a fuoco, padrone d’un immaginario descritto abilmente e senza indulgenza alcuna ehppure toccante per il solo motivo di essere verità: la verità d’un solo detenuto e perciò universale perché non replicabile, non contestabile, unica.

E di questo sbalorditivo primo testo ha scritto anche Goffredo Fofi su l’Internazionale “Il racconto sul carcere è il più ambizioso e, mi pare, il migliore mai scritto in Italia su questo tema abusato dalla cronaca e dal giornalismo d’inchiesta: il quotidiano è scandito in momenti classici e il coro si allarga dalla cella di pochi alla condizione di tanti, sì che il carcere finisce per apparire come “l’unica cosa vera che esista”, forse la più istruttiva per capire il nostro mondo e paese.”

Tuttavia in un modo strano i tre testi si legano e non si prova il desiderio di concludere la lettura con solo il primo dei tre, sono anzi necessari e autentici quanto il primo ma, a differenza di quello, più vicini a noi e, per paradosso, meno coinvolgenti e più semplicemente letterari. Aiutano dunque a togliersi di dosso un dolore e lasciano il tratto dell’autore scritto sulle proprie personali pagine. Sono riconoscente perciò per la scelta di questo ordine che mi ha consentito di concludere la lettura con il sapore dello stile ma meno angosciata. Riconosci la mano ma vedi la differenza della punta. Sandro Bonvissuto in questo straordinario esordio del 2012 dunque dimostra di potere maneggiare questi strumenti e vergare storie diverse, attendo scelga il prossimo e di certo correrò in libreria per poter scoprire la sua prossima linea.

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Sandro Bonvissuto

Dentro

2012

Einaudi


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