Commessa nel 1962: e i prezzi erano in lire.
Scrivo al presente e in prima persona un nuovo capitolo alla saga “Commesse”. Non entro nel merito di forma e scelte linguistiche del capitolo precedente, ma son stata ispirata dai commenti. Ora, mi sento legittimata a parlare di commesse e commessi per esperienza diretta. Sin dall’età di 14 anni le seppur saltuarie entrate economiche son state proprio per aver lavorato nei supermercati, via via crescendo ho fatto della mia abilità di vendita una professione che mi ha permesso di guadagnare vil denaro, indispensabile per togliermi qualche sfizio prima e contribuire al bilancio famigliare poi. Anche ora che faccio altro, vengo sempre destinata a dialogare e relazionarmi con i clienti, perché le mie esperienze passate mi son sempre d’aiuto.
A onor del vero, ora, che ho 47 anni, ho capito una cosa, che mi è subito stata chiara anche da adolescente e che rimane valida sempre: vendere è una dote. Come saper dipingere, cantare, costruire mobili, giocare a calcio o avere fantasia. Puoi fare corsi, puoi impegnarti ma non è la stessa cosa. Non fraintendetemi. C’è chi ci nasce e chi no. E questo, commessi tutti, dovete riconoscerlo. Non tutti ce l’hanno il dono, anche se tutti abbiamo bisogno di lavorare.
Il medico della mutua: ve lo meritate Alberto Sordi!
Per capirci, spostiamoci su altre categorie professionali con cui tutti, ma proprio tutti abbiamo a che fare o abbiamo dovuto confrontarci nella vita: gli insegnanti e i medici. Salute e conoscenza sono carriere che prevedono capacità di studio e aggiornamenti, ma che andrebbero scelte solo per passione e vissute come una missione. Perché son professioni che vivono di “pubblico”, e che tu sia insegnante o dottore, i tuoi interlocutori hanno bisogno di te ma non sei tu che te li puoi scegliere. Proviamo a pensare a tutte gli insegnanti che abbiamo incontrato, dal nido alla materna, alle maestre delle elementari, ai professori delle medie e delle superiori, poi ai docenti universitari, nostri, dei nostri fratelli e oggi dei nostri figli … quanti di questi potremmo mettere nella categoria: capaci, in missione per il bene degli alunni, pieni di passione? E pensando ai medici condotti, ai pediatri, e ai medici del pronto soccorso e ospedalieri, o agli specialisti privati super costosi, quanti di essi si potrebbero sempre ascrivere alla categoria missione-passione e soprattutto competenza? E non ci si aspetterebbe che un medico parlasse in italiano corretto? Pensandoci non sempre è così.
Il punto è che io mi voglio sentir libera di raccontare apertamente alcuni comportamenti poco edificanti di dottori ed insegnanti. Mi sento legittimata a dire che la tal professoressa di lingue non mi piace, che si presenta in classe un’ora sì e una no o rimane a casa in malattie “tattiche” prima o dopo le vacanze di Natale e Pasqua o peggio prima dei saggi di danza della scuola di ballo che dirige. E mi sento legittimata semplicemente perché è vero. Così come so di poter dire di diversi miei docenti universitari che una volta ottenuta la cattedra, hanno smesso di farsi vedere in facoltà, hanno annullato la disponibilità che dimostravano da assistenti, non si sono più presentati all’orario di ricevimento o di vecchi professori che non mi hanno lasciato nessun contenuto interessante, eppure gli unici testi d’esame obbligatori erano inutili libri di cui erano autori.
Quindi, mi ripeto, mi sento libera e legittimata a raccontare tutti questi episodi fra il serio e il faceto perché è tutto vero. Come è vero che l’ultima guardia medica che ha visitato mia figlia non parlava un italiano comprensibile, gli ho chiesto di scrivermi i dosaggi, perché la sua grafia era migliore della sua espressione verbale e il bello è che non era straniero; ed è sempre vero che son stata definita “l’aborto” del letto 5 dal primario di ginecologia dell’ospedale di Ravenna dopo essere stata ricoverata d’urgenza con un’emorragia che mi aveva fatto perdere un bimbo desiderato, o come quella volta in cui uno specialista mi ha liquidato con “Perché è venuta da me? Tutto bene, 150 euro, se vuole la ricevuta la segretaria le aggiunge l’iva.” (più parole sul pagamento che sulla diagnosi).
Achille Ardigò: esempio indiscusso di persona ed insegnante fuori del comune.
Ma c’è un ma. Sentirsi legittimati a condividere quanto di buffo, di sgradevole o antipatico ci è successo, non deve portare a generalizzare, a far di tutta l’erba un fascio. Aver incontrato insegnanti e medici menefreghisti, sciatti, maleducati o semplicemente attaccati al denaro non vuol dire che sono tutti così, ma solo che lo è qualcuno. Infatti, l’esperienza ci dice anche che esistono molti medici stimabili e onesti o insegnanti meravigliosi nonostante le oggettive difficoltà di un lavoro precario e sottopagato. E anche qui potrei fare esempi: il mio medico di famiglia che mi risponde al cellulare anche quando è in ferie, la pediatra, la nuova ginecologa, il dentista che ci segue tutti da anni; per non parlare delle preziose maestre dell’asilo e delle elementari. E sono consapevole che fra le persone che più ringrazio per la mia formazione umana ci sono vari insegnanti collocati a tutti i livelli di istruzione – l’università compresa.
È che gli esempi positivi vengono considerati la norma, dati per scontati e fa più rumore e presa nella memoria l’eccezione negativa.
Quindi diciamocelo, care commesse, se questo vale per le altre categorie professionali, perché non dovrebbe valere per chi ha a che fare col pubblico tutto il giorno, cioè commesse e commessi? E siamo sicure che tutte le venditrici che l’autrice del brano in questione ha incontrato siano un parto della sua fantasia, una presa in giro alla categoria? Trovare buffi certi termini o atteggiamenti è così irriguardoso? Eppure ci andiamo anche noi in altri negozi, outlet, centri commerciali e sappiamo bene cosa possa capitare.
Anche la Luisona si è fatta il vestito nuovo.
Quando lavoravo in un outlet, era mio vanto riuscire a vendere anche cose che erano lì da anni, un po’ comela Luisona, la decana delle paste del Bar Sport di Stefano Benni nel 1976. E mi faceva piacere, se con quella cosa accontentavo la cliente e il titolare. Eppure mi è capitato di sentirmi presa in giro sentendomi dire che quella maglia che riconoscevo come un’orribile capo irripetibile, di una collezione di 4 anni prima mi venisse proposta come un “continuativo”, cioè un capo che verrà sempre ripetuto di collezione in collezione. E non invento quando affermo che a Ravenna, la città in cui abito, commesse e titolari non dicano “Mi è rimasta solo la 44”, ma “ho rimasto” e questo in qualsiasi genere di negozio, anche nelle boutique del centro dove si vendono capi da 1000 euro. E, infine, quante volte è capitato di non venire salutata entrando in un punto vendita o di essere guardata come la sorellastra di Cenerentola che si vuol mettere la scarpetta della taglia sbagliata da una commessa scocciata? A volte la voglia di trattar male per ripicca l’ho provata anche io.
commessa e cliente
Allora non offendiamo un’intera categoria per partito preso, ma nemmeno difendiamola in toto, difendiamo il merito perché in tutte le professioni ci sono persone a cui ogni giudizio – positivo o negativo – sta come un vestitino nuovo. Anche noi stessi, non siamo sempre belli, buoni e bravi come crediamo. Quindi cerchiamo un punto d’incontro nel fatto che se anche non siamo tutti commessi, né medici, né insegnanti, siamo tutti clienti di qualcuno. Facciamo un esame di coscienza e analizziamo queste azioni a specchio. Forse è un po’ semplicistico. Ma per ogni gesto di un cliente esiste una reazione uguale e contraria da parte di un commesso. E viceversa.
1 – Cliente – Sarebbe bene salutare sempre quando si entra e quando si esce – anche la cassiera del supermercato che è al centesimo scontrino e non ha modo di alzare la testa dal nostro conto. - Commessi - Anche se non si riesce a salutare per primi, bisogna rispondere sempre ai saluti che si ricevono.
2 – Cliente – Chiedere per favore e dire grazie. – Commessi – Un prego, è gradito.
3 – Cliente – Sorridere ed essere gentili, non ci sta relazionando ad un sottoposto. Commessi – Sorridere ed essere gentili, anche i clienti sono persone, anche loro possono aver avuto una dura giornata di lavoro e comunque coi loro acquisti contribuiscono allo stipendio.
4 – Cliente – Non entrare nei negozi 2 minuti prima della chiusura e pretendere di fermarsi a dare un’occhiata per un sacco di tempo, e poi uscire senza comprare. E se la porta è chiusa, anche se dentro ci sono ancora clienti, significa che non è tempo per entrare. – Commessi – D’altro canto, c’è chi fa gli stessi orari del negozio, quindi, un po’ di pazienza, far accomodare per dare un’occhiata, ma chiudere la porta ad eventuali altri clienti emulatori.
Commessi di Abercrombie con tutta la loro competenza ben in mostra
5 – Cliente – Non essere spocchiosi e saccentiperché si pensa di saperne di più dei commessi, su abbigliamento, calzature, cosmesi, cibo. Ne siamo certi che non ne sappia più di noi? (Questo NON vale per i commessi di Abercrombie, che non sanno nemmeno capire a quale piano lavorano). – Commessi – Non essere troppo pungenti su cosa va o non va.Ognuno ha i suoi gusti e soprattutto non sempre al cliente interessa cosa dice questo o quel designer. Vuole solo qualcosa che gli piaccia, gli stia bene e magari costi poco.
6 – Cliente – e Non fare estenuanti trattative economiche come nel souk di Marrakech. Se una cosa non è in sconto, non è in sconto. Se l’altro commesso nello stesso negozio realmente vi fa sempre il 20%, è meglio tornare quando c’è il commesso giusto. – Commessi – Credere sempre ad un cliente che asserisce che di solito gli fanno uno sconto, ma chiedere il nominativo della persona che gli riserva questo trattamento e informarsi. In un minuto si risolve tutto. Comunque lasciare anche i 2 euro simbolici per il caffè crea subito un bel rapporto.
Jennifer Lopez – una cliente tutta sorrisi e amabilità.
7 – Cliente – Avere il coraggio di dire che una cosa non piace, che costa troppo o che non ci si vede bene. Se si fa un acquisto solo perché ci si vergogna a rinunciare e poi non lo si utilizza, la colpa non è del commesso. - Commessi – La fusciacca non sdrammatizza, è difficile da indossare e sta male al 99% delle persone. Proporla – salvo rarissime eccezioni – autorizza il cliente a lasciare il negozio e non rimetterci più piede.
8 – Cliente – Se si è amici di commessi, andare a trovarli solo se realmente interessati alle cose che si vendono nel negozio in cui lavorano. Entrare in negozio solo per chiacchiere e saluti potrebbe mettere l’amico in cattiva luce agli occhi del proprietario e far spazientire altri clienti. - Commessi – Non utilizzate il negozio in cui lavorate per chiacchierare con amici e amiche. I clienti vi guardano e vi giudicano.
9 – Cliente – Non parlare al cellulare o mandare messaggi mentre è arrivato il proprio turno per essere serviti, in particolare quando state ordinando l’affettato al banco salumi o mettendo la spesa nelle buste alla cassa del supermercato. Oltre che i commessi, anche gli altri clienti in coda mi odieranno. - Commessi – Non messaggiare col cellulare mentre si cerca la taglia corretta in magazzino, trascurando il cliente. Il cellulare non deve essere tenuto mai a portata di mano.
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10 – Cliente – Un capo visto indossato è spesso più bello di uno riposto sulla mensola. Ma non bisogna chiedere quello che si vede portare ai commessi, non bisogna mettersi in competizione con loro su come stanno i vestiti: potrebbero essere molto più giovani, belli e ben fatti e finiremmo per sentirci male e considerare loro antipatici. - Commessi – Non mettersi in competizioni con i clienti per i look più costosi che non è detto che ci si possa permettere. Se si inizia ad acquistare molto nel negozio in cui si lavora, alla fine del mese anziché ricevere denaro, ci si ritrova con dei debiti.
11 – Cliente -Non si deve andare a far compere se non se ne ha tempo, voglia o denaro. Non è un’attività né obbligatoria, come andare a scuola, né indispensabile come a volte una visita medica. Ormai i negozi son sempre aperti. Si può rimandare, di un giorno, di una settimana, di una stagione. E non cambierà niente. - Commessi – Non si deve vendere se non si ama vendere. A volte non ci sono molte altre offerte di lavoro. Ma se si non si sopporta più nessuno valutare altre opzioni è questione di vita.