Mettermi alla prova significa quindi espormi di fronte a chi apparentemente sembra aver realizzato più desideri dei miei. Mi ci tuffo e mi ascolto.
I risultati sono variabili. Ci sono stati momenti particolarmente fragili in cui ho desiderato intensamente essere nei panni di qualcun altro, tutto fuorché me stessa e più che di invidia parlerei di desiderio di fuga, tale da scegliere di essere un altro invece che scappare in un altro luogo. Quando invece sto bene con me stessa l'esperimento non solo mi fortifica ma mi fa godere del successo dell'altro.
E' il caso ultimo provato con un'amica (così mi piace pensare che sia) e culminato nella lettura di Quello che le mamme non dicono di Chiara C. Santamaria, per la blogosfera Wonderland.
Seguo Chiara da tanto tempo e ho sempre fatto il tifo per lei. Scelsi di leggere e seguire il suo blog Machedavvero per lo stesso motivo per cui nei momenti di "allergia" alla maternità decisi di schivare tutti i forum di mamme, i libri seri di pedagogia e le persone che si prendevano troppo sul serio. Mi bastavo io per quello. Un motivo molto semplice: Wonder mi faceva morire dal ridere. Eppure nel tempo ho scoperto che sa essere anche terribilmente seria: nella pittura di certe situazioni vere e concrete della vita quotidiana di una mamma, nell'esternazione di sentimenti spinosi da riconoscere. E poi ho avuto la fortuna di conoscerla personalmente, prima che si svelasse con il lancio del suo primo libro e la cosa più sorprendente è stata la dolcezza della sua timidezza, così spiazzante rispetto alla sfrontatezza delle parole scritte. Pensi che abbia una ghost writer, una doppia personalità e invece è solo una delle sue dimensioni. L'unica cosa che non mi ha sorpreso è la sua bellezza, quella te l'aspetti e quella arriva come te la immaginavi.
Il libro lo puoi leggere in tempi brevi ma io l'ho dovuto fare nel mio tempo rubato alle ventiquattro ore troppo piene. E' scritto molto bene. Non butterei una sola riga e raggiunge il suo vero significato alla fine. Alla fine ho capito molte cose di Chiara e anche di me. Ho capito quanto fossimo simili nonostante ci separino diversi anni. Leitmotif della sua storia sembra essere proprio l'età come se quella fosse la colpa, tutta la colpa delle sue vicissitudini. Io invece penso che non sia una questione di età, perché io i miei figli li ho avuti oltre i 35, li ho anche cercati ma ho provato, provo gli stessi scossoni, dubbi e rimpianti. Il libro mi ha riportato a quei giorni, comici e tragici allo stesso tempo, alla mia solitudine, alla mia ricerca dell'istinto materno, al mio costante ripensare a quello che avevo prima: la libertà di essere egoista. Lo dico senza vergogna. Ho riso ma ho anche pianto perché mi ci sono identificata.
Ieri ho rivisto Chiara al Momcamp a Milano dove siamo state tutte prese da brevi contatti e rara intensità, se non alla fine, proprio come nel libro. Quando il sipario doveva scendere abbiamo iniziato a parlare delle cose più importanti e di quelle che ci interessano di più. In quel momento, Chiara mi ha raggiunta, si è seduta accanto a me e con i suoi occhi liquidi mi ha chiesto se si sarebbe dovuta arrendere, se per avere il tempo di stare insieme a Viola avrebbe dovuto rinunciare a rincorrere il suo desiderio di un lavoro appagante, che ti riempie le giornate e ti fa vedere persone stimolanti. Le avrei voluto rispondere e parlare per altre due ore e invece ho accrocchiato due parole in croce, scossa dalla mia incapacità a trovare risposte ai miei stessi dubbi.
Perché rispondere non è per niente semplice, perché non c'è una sola risposta. Perché non c'è una risposta definitiva. Stasera le risponderei di continuare così, di rimettersi in gioco oltre ogni limite perché con sua figlia sta facendo un lavoro grandioso e che realizzare i propri sogni rende felici anche i nostri figli. Che c'è sempre tempo per ridimensionare le cose, per accorgersi che si sta esagerando e per farsi aiutare, a turno, da tutti coloro che hanno responsabilità nella vita della tua famiglia. Sono convinta che non dobbiamo mai arrenderci e dobbiamo imparare ad interpretare i suggerimenti alle prossime mosse.