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Quello che lei sognava – 7^ parte

Da Blanca Persaltrove

Martha 7

Sarah Carver si diresse spedita nella sala da pranzo, dove il fratello la attendeva per avere la confessione di Martha. Era certa che Joshua si fosse inventato tutto per mettere in atto una specie di vendetta verso la ragazza, che probabilmente l’aveva rifiutato. Era sempre stato vendicativo, anche da piccolo, quando si trovava nella cella delle donne nella prigione di Salem.
Sarah ricordava quant’era bello, allora, aveva il viso tondo nonostante le privazioni della detenzione, e un sorriso dolce da cherubino che aveva suscitato l’interesse della cuoca della prigione che, quando faceva visita al marito carceriere, portava al bambino pane e carne salata e, poiché non era l’unico bambino imprigionato, le altre madri lo consideravano un privilegiato da guardare con sospetto. Si diceva che la donna avesse perso dei figli e per questo cercasse nel bambino un sostituto. Probabilmente era vero perché era riuscita ad ottenere il permesso di tenere il piccolo con sé nelle cucine, con la scusa che le faceva compagnia. Vedendo in questo un’opportunità per i propri piccoli, le altre madri avevano supplicato che portasse con sé anche i loro bambini e avevano sollevato i corpicini sporchi e deboli dei loro figli, offrendoli in cambio di cibo e acqua pulita. La donna aveva preferito Joshua, suscitando i pianti disperati della madre naturale, che temeva glielo volesse rubare. In realtà Joshua tornava sempre in cella la sera e le condannate lo rimproveravano perché non spartiva con gli altri piccoli il pane, né si riempiva le tasche di cibo quando tornava dalla cucina, ma lui si scostava con fastidio e per risposta indispettiva e ingolosiva i compagni di sventura e schiacciava nella calca i più piccoli, rivelando un temperamento sadico che non aveva mai mostrato prima.
Le carcerate non vollero comprendere la disperazione della madre, che cercava invano di correggere il figlio, e invidiose dei vantaggi cui godeva, avevano finito con l’accusarla durante le torture, confessando assurdità che avevano portato all’impiccagione di quella poveretta.
Dopo la morte della madre per un po’ Joshua sparì dalla circolazione, si diceva che l’avessero graziato e la cuoca lo crescesse a casa sua, ma una sera fredda di autunno, Sarah aveva visto il marito della cuoca trascinare il bambino per le scale e attraversare il corridoio verso la cella maschile. Joshua trotterellava svelto, quasi ignaro della stretta dell’uomo contrariato, e con il visetto grasso e lucido sorrideva beato, salutava tutti con gioia, scuotendo i capelli puliti che brillavano come oro alla luce delle torce.
Che cosa fosse successo nessuno lo seppe mai, il bambino non fu in grado di spiegare, ma dopo il trasferimento nella cella del padre fu chiaro a tutti che quello non era più il Joshua che conoscevano ma un povero mentecatto, menomato nella mente, e allora ogni livore svanì lasciando il posto al rimorso e al malcelato sollievo che portò le donne a pregare per lui, benedicendo in segreto che la stessa sorte non fosse capitata ai loro bambini. Da quel momento divenne per tutti il povero e semplice Joshua.
Era cresciuto, eppure non aveva dato segni di squilibrio o di libidine fino a quando non l’avevano trovato nel bosco con Ellsbeth, due giorni prima. La piccina era nuda e Joshua la stava costringendo ad indossare una sottoveste che poi si scoprì appartenere a Martha. Sebbene non fosse accaduto l’irreparabile, la famiglia Willworth aveva rifiutato immediatamente la figlia, credendo al racconto di Joshua che incastrava Martha come strega e pretendendo che la stessa fosse sottoposta a processo.
Rimuginando, Sarah entrò in salotto e suo fratello si affrettò a chiudere il libro e alzarsi: “Allora? Ha confessato?”
Lei si versò un bicchiere di acqua e bevve avidamente, prima di spiegare: “La ragazza è spaventata e confusa, non possiamo pretendere che parli, stanotte.”
“E… l’hai controllata?”, la incalzò con fin troppa enfasi.
Sarah sentenziò, severa: “William, è completamente innocente.”
“E i vestiti allora? Come faceva ad averli, quel povero ragazzo?”
Sarah sbuffò infastidita dal fatto che considerasse Joshua una vittima.
Trovava l’atteggiamento di William veramente ottuso, ma Sarah era l’unica a non subire l’ascendente del fratello, considerato un sant’uomo e la colonna portante della Comunità. Disinteressata al concetto di peccato e di penitenza ma costretta dal suo aspetto a vivere in quell’ambiente ipocrita e falsamente moralista, Sarah non comprendeva quel sistema e non aveva intenzione di rivivere l’orrore delle persecuzioni: “Posso immaginare che l’idiota abbia rubato i vestiti della ragazza, ma anche se fosse, non è affar mio. E’ assurdo quello che stanno facendo a quelle bambine. Non vorrai che accada come a Salem, vero?”
William Carver abbassò le spalle: “Sarah, l’ultima cosa che voglio è una strage degli innocenti, ma è certo che Joshua ha svelato dei particolari che devi accertare. Lo hai fatto? L’hai spogliata? Hai guardato attentamente?”
Sarah fissò il fratello e non aggiunse nulla, c’era qualcosa di pericoloso in fondo al suo sguardo, una lieve e lontanissima scintilla che la disgustava, perciò si limitò a mentire: “Sì, ho controllato dietro le ginocchia, sui fianchi e sotto le braccia, non ho visto segni del maligno né nei disposti a triangolo, su Martha.”
“Ecco, domani cercherai in lei un punto insensibile. Può darsi che sia troppo buio e che tu sia stanca, ma sicuramente avrà un marchio del demonio. Nessuno può parlare a quel modo di una femmina, senza averla conosciuta.”, concluse lui riferendosi al racconto di Joshua.

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Quello che lei sognava – 7^ parte
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