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“Quello che non ho”

Creato il 07 agosto 2014 da Povna @povna

La ‘povna è andata e tornata, e di Cambridge parlerà, forse, ancora, presto. Per intanto, in questi tre giorni, che sono stati perfetti, quello che l’ha colpita è stato, soprattutto, quanto il mood vacanziero altrui possa essere molesto. C’est à dire, Cambridge era, come sempre in estate, repleta di gente di passaggio e – a fronte di persone cortesi, educate, silenziose e per benissimo (anglo-parlanti, francesi e nord-europei, soprattutto) – la massa umana di soggetti palesemente inadatti a uscire dai confini patrii era numerosissima e compatta (italiani, brava gente, ovviamente in pole position, anche se la palma della maleducazione spetta a chino-giapponesi).
Ed è così che, mentre saliva su un aereo reso rumoroso dai suoi connazionali urlanti (quando si è in volo, quanto a provincialismo, nessuno ci batte), si è fatta mentalmente l’elenco di “che cosa non è”, non è mai stato, il suo viaggio. Oppure, appunto, “quello che non ha”.
La ‘povna, quando parte, dunque:

- non ha la sindrome della valigia da fare diciassette giorni prima, tutto pronto: viaggiare significa spostare se stessa in un altro luogo per qualche tempo, ciò che importa non sono le cose, dunque. Soldi e documenti (di identità e/o di viaggio) vanno controllati con anticipo. Per tutto il resto, non c’è niente di scontato.
– per questo, non si affanna (se parte in aereo) a controllare il peso altrettante diciassette volte, sentendosi magari tanto smart perché riesce a barare, vestendosi in estate a strati, come se fosse inverno. E’ passata l’età di quel tipo di viaggi (da romanzo di formazione e adolescenza). Se la ‘povna pensa di non avere bisogno di molte cose, avrà un bagaglio a mano, piccolo e maneggevole (e che non darà mai, in cabina, problemi di spazio); se invece pensa di avere bisogno di più cose, all’andata e/o al ritorno, il bagaglio lo mette in stiva, a prescindere dal costo. Tertium, concettualmente, non è possibile, e non datur.
– proprio per quanto detto sopra (ne ha discusso con una interlocutrice del tutto priva di ironia sul canale telematico), a colazione si guarda bene dal fare quelle cose tristi che fan tanti, come farsi i panini di sgamo rubando dal buffet.
– alla stazione si sa muovere, sa leggere i cartelli, i tabelloni, le informazioni e, se all’estero, comunicare in lingua. Orientarsi da soli – o chiedere dritte in maniera cortese, circonstanziata, adatta – fa parte dell’esperienza. E anche qui tertium non datur.
– mettersi in coda al gate, in piedi, scomodamente, 50 minuti prima della partenza, è qualcosa che lascia volentieri ai suoi connazionali in ansia. Se non altro per politiche di sicurezza, sugli aerei, i primi a tenere che ci siano tutti a bordo sono i responsabili: affannarsi a saltare la fila nel timore di perdere chissà quale privilegio è una cosa che a vedersi è solo triste. E la ‘povna, alla quale guardare dall’esterno piace molto, francamente, non lo fa.
– per lo stesso motivo, quando è su un mezzo di locomozione, non parla ad alta voce, non sbriciola, schiamazza, si alza dieci volte; ci sono anche altri passeggeri intorno (e, se in aereo, va da sé, si guarda bene dall’applaudire all’atterraggio – oltre a conoscere la differenza tra la luce di cortesia, sopra la testa, e il bottone di chiamata).
– quando si è in un posto, si mangia la cucina del posto, punto. Deviazioni da questo dogma sono concesse soltanto quando si inizia a parlare di soggiorno stabile. Per la pasta asciutta, il caffè espresso o quant’altro c’è un sacco di tempo a casa.
– “vacanza” significa anche conoscere per bene i luoghi che si ha in programma di vedere: la ‘povna non ha l’ansia da collezionista, dunque. Se va in un posto per tanto tempo, lo conoscerà con calma, giorno dopo giorno: camminandoci in mezzo, prendendo i mezzi pubblici e quant’altro. Se ci sta pa er pochi giorni si rassegnerà a non vedere tutto: ma viversi nel luogo, camminarci, leggerci in un parco, guardare i supermercati, andare al cinema, chiacchierare con la gente fa parte a suo giudizio del percorso, né più, né meno dell’ennesima bellezza, naturale o culturale.
– proprio in nome del non-collezionismo, il viaggio deve essere organico. Il che, attenzione, può volere dire tutto, oppure niente. Di certo per lei non vuol dire, però, aggiungere all’elenco mete l’ennesima etichetta, giusto per poter dire, agli e a se stessi, di “esserci stati”. In altre parole, non è più tempo di inter-rail, insomma (e nemmeno ha più vent’anni): mettere insieme nomi e luoghi alla rinfusa (“aggiungici un giorno in più e ti fai anche la Danimarca”, detto di un breve viaggio programmato in Schleswig Holstein) non fa per lei, per la sua età, per il suo modo di conoscere. A lei piace che un viaggio sia armonioso in se stesso, posto che l’armonia, concetto lasco, possa derivare da una prevalenza culturale, naturistica, geo-politica o anche emotivo-sentimentale.

Di questo genere, se non tali appunto, sono stati i pensieri nel retro-testa della ‘povna mentre viaggiava verso Cambridge, mimetizzata dai suoi colori, dalla sua parlata e dal suo libro che la fanno passare sempre, per fortuna, per straniera e anglo-parlante, provando a modellarsi sul paesaggio intorno per lo spazio di quei giorni, adattandosi al contesto. Perché, almeno per lei, “viaggiare” di questo tratta, uscire dai confini noti, aprendosi a se stessi. Ma se invece l’idea è partire portandosi il proprio chiuso mondo, tutto quanto, protervamente sulle spalle, allora, per quanto la riguarda, si tratta proprio di risparmiare la fatica, e stare a casa.


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