Magazine Diario personale
Negli anni in cui la Repubblica Ceca era un po' la mia seconda casa e patria, Jaromir Jagr era già uno dei giocatori di hockey più famosi del mondo. Si era nel cuore degli anni novanta e Jaromir Jagr era la stella dei Pittsburgh Penguins, dove avrebbe vinto due Stanley Cup, e per cinque volte il titolo di capocannoniere della NHL. Fu il primo giocatore cecoslovacco (prima scelta nel draft del 1990) a poter lasciare il paese per giocare nella NHL americana.
A Praga, come nel più piccolo paese della Moravia o della Boemia, ogni bambino portava l'immagine di Jagr, o quella di Hasek, l'altra grande stella dell'hockey ceco di quegli anni, sulle cartelle, sui diari di scuola, sulle figurine attaccate al frigo di casa. O se non la faccia di Jagr, almeno il numero 68.Jagr porta da sempre il numero 68, in ricordo della rivoluzione di Praga di quell'anno, in cui morirono i suoi nonni. E' stato il leader della squadra nazionale ceca che nel 2001 vinse una Olimpiade.Insomma, un eroe nell'immaginario nazionale ceco pari a Havel.Tutto questo per dire che averlo rivisto, ieri sera a 38 anni suonati, giocare una finale dei campionati del mondo di hockey contro la Russia di Ovechkin (quello che nella NHL ha ora preso il suo posto come stella assoluta), mi ha fatto venire un bel po' di brividi. E un mare di nostalgia.Ah per la cronaca, ieri sera la Repubblica Ceca ha vinto 2-1 laureandosi campione del mondo, e Jagr è stato l'autore dell'assist per la prima rete ceca. Me la sarei goduta un mondo ieri sera poter festeggiare con un boccale di Staropramen in Vaclavske Namestì.
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