Quello non ero io – seconda puntata

Creato il 03 gennaio 2011 da Olineg

opera di Boris Hoppek, 2010, Grottaglie (Ta)

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Università della vita, non il carcere, l’altra. Seduti accanto a noi ci sono un vecchietto con lo sguardo fisso nel vuoto, un bambino imbronciato e quella che presumibilmente è sua madre. Una ragazza con un vestito viola, invece, è immobile in mezzo al corridoio; è ferma da cinque minuti credo, ma sembra sul punto di muoversi, di scattare verso il reparto, oppure voltare le spalle e sedersi accanto a noi, quando però la porta si apre con un baccano volgare, facendo vibrare pericolosamente i vetri opachi, la ragazza in viola sussulta, un breve scatto, ma di tutto il corpo, come quando un gatto randagio viene svegliato.
È il nostro uomo; un infermiere napoletano di un metro e cinquanta, mi viene in mente un nome: Peppino Profeta, non è il suo nome… chi diavolo è Peppino Profeta?
L’infermiere viene verso di noi e ci fa segno di seguirlo verso l’ascensore. Io sto per dire che non abbiamo tempo da perdere e che preferiamo risolvere la faccenda subito, ma il nano una volta dentro preme il tasto del terzo piano senza mai staccare il mozzicone di dito: -Qua stamo tranquilli. Allora sentite; ce sta un supermercato a via Taranto, ma no un supermercato, un negozietto zozzo, fa quattro lire de incasso, ce lo so perché ce lavora mi nipote, ma il proprietario nun vole venne… è un peccato, è uno spreco, mi cognato c’ha un negozio de mobili e cucine proprio accanto e…
-A Gulliver… vieni al sodo.
Gli dico, e lui riprende tranquillo: -Nvetateve quarche cosa, je dovete fa passà la voja di tennello aperto quer buco, cacateje er cazzo…
A questo punto io generalmente parlo di soldi; quando si parla di soldi bisogna essere seri, bisogna cambiare tono, per far capire all’altro che su quel tema non si è disposti a scherzare, per cambiare tono senza essere ridicoli ci vuole un colpo di teatro, e uno che fa il mio mestiere, il proprio colpo di teatro, lo deve scegliere, studiare, provare, se lo deve tatuare addosso. Io tiro fuori dalla tasca uno zippo d’acciaio, lo roteo tra le dita e poi l’osservo nel palmo della mano, e solo allora, solo in quel preciso momento della coreografia introduco l’argomento soldi; una domanda o una proposta secca, sintetica, senza giri di parole, senza distogliere lo sguardo dall’acciaio. Recitate le poche sillabe guardo negli occhi l’interlocutore. Quando riesce è bellissimo. Quando riesce.
Il nano non c’è più, sputato dall’ascensore e rotolato chissà dove.
Era  il nano nel film “L’imbalsamatore”, ecco chi era Peppino Profeta.

Samuel è un bravo ragazzo, l’ho conosciuto in carcere, a Rebibbia, ma non è come potrebbe sembrare: non aveva fatto niente, era un volontario, faceva il servizio civile. Io invece ero dentro per davvero, ma non avevo fatto niente neppure io, almeno non ancora. Le prime volte Samuel mi sembrava uno di quei ragazzi neri di alcuni film di Spike Lee, tutti presi a darsi un gran da fare, più degli altri, meglio degli altri… io di cinema me ne intendo, cioè non sono di quei fulminati che conoscono tutto il cinema coreano degli anni settanta, io guardo solo quello che mi piace, e se anche non ho mai visto un film coreano degli anni settanta so per certo che non mi piace. Io per il cinema ho una certa… come dire… sensibilità. Ecco sensibilità dovrebbe essere il termine giusto, anche se mi sa un po’ da fighette. Del resto col nome che ho non poteva che essere così: Spartaco è un nome poco comune, qualcuno a Roma si chiama così in omaggio a qualche vecchio parente, ma io non ho parenti che portano il mio stesso nome, almeno che io sappia, così mi piace pensare che l’omaggio, nel mio caso, sia a Kubrick.
Mia madre mi ha avuto che aveva ventitre anni o giù di lì. Uno dei pochi ricordi che ho di lei è l’immagine del suo viso che mi viene vicino con un paio di occhiali da sole enormi, mi dice qualcosa singhiozzando, poi alcune gocce cadono dalla montatura. Non ricordo cosa mi disse, ricordo solo quei giganteschi occhiali. Forse fu il giorno che andò via. O forse no.
Non so cosa mi abbia voluto dire lasciandomi questo nome, forse che dovrei stare attento alle croci?     

Continua…

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