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Quello non ero io – sesta puntata

Da Olineg

 

Quello non ero io – sesta puntata

opera di Alexandre Farto alias Vhils, su muro portoghese

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Carlo Imposimato, detto Carlito per le sua carnagione caraibica, era un ladro generico, cioè non si era specializzato in nulla: c’è chi si perfeziona in furto di automobili e moto, chi in denaro e valori, chi infine sceglie di svaligiare ville e appartamenti, lui no, faceva tutto. O almeno avrebbe voluto. Ci sono due malattie che rendono la professione del ladro un inferno; una è la totale mancanza di prudenza, l’altra è l’eccessiva prudenza. Carlito aveva il secondo handicap, ma più che prudente era paranoico, ansioso all’inverosimile, se riusciva a fare un colpo stava male per un mese. Carlito a differenza di me e Spud non era mai stato dentro, del resto se se lo fossero bevuto sarebbe morto di infarto al momento, ma nonostante la fifa fottuta sapeva il fatto suo; tra un’ulcera e l’altra si era fatto un discreto gruzzoletto, almeno era quello che diceva Spud, suo amico d’infanzia. Una sera tornai a casa, avevo tentato inutilmente di vendere il nostro televisore in bianco e nero del 76, Bradpitt aveva fatto il giro delle agenzie di viaggi per trovare i voli più economici, Spud era sporco di cera, accartocciato e immobile nel letto. Li guardai e dissi: -Ci serve un socio, ma uno che ha la grana, non un altro sfigato come noi…
Spud sollevò timidamente la testa scoprendo due piaghe tumefatte al posto degli occhi, e sibilò: -Carlito… dobbiamo parlare con lui…
Poi cercò di sputare a terra, ma si scatarrò addosso.
Spud prese un appuntamento con Carlito, quando seppe che c’eravamo anche noi disse che a casa sua non si poteva fare e ci diede appuntamento in un bar dall’altra parte di Roma. Lui prese una birra,  anche noi, nel senso che prendemmo una birra in tre. Gli spiegammo il piano, man mano che parlavo lui diventava sempre più teso, sudava, si guardava attorno, quando io finii lui si alzò di scatto e andò via. Tre giorni dopo ci arrivò una cartolina da Ostia, c’era scritto: “Va  bene. Ci sto”, capimmo che era lui. Il venerdì arrivò una lettera in posta prioritaria imbucata a Frascati, diceva: “Fatemi cercare da Giacomo”, ci misi un po’ per ricordare che quello era il vero nome di Spud.
In Marocco ci andammo solo io e Bradpitt, per tre ragioni: per prima cosa il viaggio per quattro costava troppo, poi Carlito non aveva nessuna intenzione di correre il rischio di farsi arrestare e Spud bastava guardarlo per capire che non era pulito, e infine questo era il modo più equo di distribuire il lavoro; Carlito metteva il capitale, Spud si sarebbe occupato di piazzare la roba, e io e Bradpitt ci occupavamo del trasporto. In realtà l’idea delle candele era stata di Bradpitt, quindi a me spettava il lavoro più duro, quello di portare la borsa con le candele, insomma io ero il corriere.
Trovare il fumo fu un gioco da ragazzi, in quel viaggio lo comprammo per strada, nelle spedizioni successive imparammo a spostarci nelle campagne interne e a trattare direttamente con i coltivatori. Quando fu il momento di lasciare il paese io e Bradpitt ci dividemmo, lui prese un aereo precedente, in modo che se avessero avuto una soffiata prendevano lui, che però era pulito, e io avevo il tempo di disfarmi della roba. Sistemai le candele in una scatola artigianale che comprai al mercato di Marrakech, rivestii le pareti interne con dell’alluminio, quando la scatola passò ai raggi x il tipo della sicurezza chiese di vedere cosa c’era dentro. Aprii quella cazzo di scatola africana e dissi: -It’s for my mother… she loves candles…
-Mother? Are you italian?
Disse il mezzo sbirro e cominciò a ridere dandomi pacche sulla spalle neanche fossimo andati a scuola insieme.
Ero in aereo e non mi sembrava vero, era stato tutto tremendamente facile, era la prima volta che mi ubriacavo di adrenalina. Sceso a Fiumicino presi la borsa e la scatola e cominciai a girarmi come un tarantolato cercando l’uscita, dovevo avere gli occhi fuori dalle orbite e un colorito prossimo al porpora. Quando finalmente imboccai la direzione giusta vidi gli sbirri con i cani; le energie mi crollarono di colpo, mi sentii mancare, per un attimo vidi tutto nero. Erano anni che non mi succedeva, da quando ero bambino e mia nonna mi picchiava finché, appunto, svenivo, avevo addirittura imparato ad anticipare lo svenimento per prenderne di meno, fissavo la croce appesa al collo di mia nonna che oscillava isterica mentre lei si slogava per colpirmi, poi mi concentravo sul dolore e trattenevo il respiro… era una attimo; l’oblio tascabile. Ma in quel momento era inutile svenire, mi avrebbero preso comunque, quindi cercai di camminare il più normalmente possibile. Il cane girava intorno allo sbirro descrivendo un cerchio, sempre lo stesso. Mi annusò per un attimo le tasche e riprese a girare.
Le porte a vetri si aprirono, l’aria fredda mi squarciò i bronchi, Bradpitt mi venne in contro, appena in tempo. Prima che cadessi a terra svenuto.

Continua…

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