Bisogna essere italiani per diventare fino in fondo così stupidamente e ciecamente americani, per credere ad occhi chiusi e a bocca aperta al sogno genuflesso ed irriflessivo di una democrazia che non si guarda mai allo specchio se non per dirsi quanto è compiuta, anche quando sbaglia (soprattutto quando sbaglia, calcolando male la distanza tra l’obiettivo e l’effetto collaterale). Ma l’America sa ammettere i propri errori davanti al mondo perché a nessuno verrà in mente di farle pagare le conseguenze dei suoi reati. L’America è il regno delle favole sulla libertà, l’opportunità, il progresso sempre a portata di portafoglio più che di mano, del cambiamento che viene con una folata di vento, della finta trasformazione arrivata direttamente dai tempi della segregazione con una tonalità più scura di colore. Diceva Gaber, non c’è popolo più creativo degli americani “loro creano così, come cagare”. E noi che siamo più cretini che creativi ci facciamo abbindolare dal loro afflato patriottico.
In America tutto è possibile, perché sono attrezzati per l’impossibile e per l’incalcolabile da mettere sempre sul conto degli alleati e dei nemici, o dei nemici che divengono alleati à la carte e degli alleati spesso trattati come carta da parati.
Premiarne uno ingannandone cento. Qui sta tutta l’epitome dell’american dream, un’illusione per la maggior parte della popolazione ed uno stratosferico deposito in banca per un élite ristretta di persone. Ma tale allucinazione, questo va ammesso, funziona socialmente, tanto da aver condotto quella nazione alla guida del timone mondiale, usando fuori soavi e condivisibili parole ed ardendo dentro di potenza come un tizzone.
Questa è l’America tra apparenza e introspezione, tra realtà e finzione ma per noi vecchi europei appesantititi da troppa tradizione e poca convinzione nei nostri mezzi storici e politici la verità vale meno della sua proiezione. Per questo ripetiamo ad alta voce, tamburellando con le lingue sotto il palato, “viva l’America e il suo vivido fato” al quale corrisponde, miseri noi, la nostra sventura di servi che, per farci più deboli ma belli sotto il loro sole imperiale, condiamo con discorsi di collaborazione e di acritica condivisione, malcelando una piena sottomissione e così loro macellando noi.
Gli Usa sono potenti e per questo prepotenti, incutono timore, si fanno rispettare calpestando la morale ed issando il drappo del moralismo globalizzato che diventa un irrinunciabile vessillo col quale giustificare ogni specie di terrorismo. E giù bombe a grappolo ed aiuti umanitari agli sconfitti i quali si piegano al volere del Paese che accoglie tutti a ceffoni prima di elargire abbracci, affinché ognuno comprenda che anche la brutalità, l’odio e l’intolleranza sono cemento dell’esistenza associata, anzi, per così dire, se il sostrato collettivo si fonda sulla crudeltà, l’arrivismo esasperato e la cattiveria assoluta l’esperimento riesce meglio e dura più a lungo. Le carezze e le dolcezze occorre guadagnarsele con le durezze e le sconcezze. Se sei buono ti tirano le bombe, se sei cattivo ti tirano le bombe ma se sei cattivissmo sei dei loro ed allora ti finanziano e ti mettono alla testa di qualche governo nel Medio-Oriente o in Africa. Se invece sei un tecnico ti spediscono a Roma.
Gli americani sposano sempre i sani principi ma soltanto se a proferirli sono dei sicuri banditi. Il successo, quando arriva, s’incaricherà poi di ripulirti la coscienza rilasciandoti la certificazione di benefattore con la filantropia per passione, se la fama non arriva questo sarà il segno inequivocabile che Dio non ti ha selezionato e che pertanto meriti di essere bastonato.
L’America è buona ma soprattutto spietata ed è per questo che all’Europa l’ha condizionata e piegata prima col Piano Marshall e poi con la Nato che è come la mafia, nessuno può uscirne se non vuole morire. E’ per tale motivazione che ci tiene incollati tutti al televisore durante l’elezione, nell’attesa di una nuova lezione di democrazia che giunge immancabilmente, a prescindere dai programmi, dai contenuti o dai diversi mascalzoni che si contendono il seggio Presidenziale. Il sistema americano non è perfetto in sé ma lo è in noi, per questo non ne vediamo mai gli inganni e gli errori. L’America fa sempre il suo dovere, o almeno così ci sembra, perché invece di guardarla negli occhi, scrutarla nell’anima, sezionarle le espressioni del volto noi ci mettiamo di sedere per non vedere. L’America l’amiamo perché ci tiene all’amo. Non a tutti, ma a tutti quei farabutti di giornalisti, politicanti, mediatori dei media italiani che hanno il sogno americano in una mano e la dignità nell’ano.