Com'è possibile sostenere l'incremento del turismo se di esso vengono attaccati i baluardi? E l'aumento dei posti di lavoro se l'operazione che li dovrebbe far sorgere è destinata a sopprimere quelli esistenti? A queste domande - che si aggiungono ad un'interrogazione parlamentare del M5S presentata il 21 dicembre 2013 - sono chiamati a rispondere il Governo, la Sat (Società autostrada Tirrenica) e la casertana società aggiudicataria dell'appalto di una contestatissima opera. L'autostrada Tirrenica Livorno-Civitavecchia, prevista su un percorso di 206 chilometri (cha da gratuito - oggi servito dalla Statale e dalla Variante Aurelia - diventerebbe incomprensibilmente a pedaggio), non solo spazzerà via antiche cascine ma, a causa delle nefaste polveri sottili, renderà impossibile la prosecuzione di produzioni biologiche, sarà causa del declino delle attività agricole e agrituristiche e danneggerà irrimediabilmente non solo le zone più a ridosso del tracciato, ma anche quelle apparentemente lontane, tutte lande incastonate in una... poesia scritta tanti tanti anni fa.
Lungo il "Corridoio tirrenico" - contestatissimo da oltre quarantacinque anni proprio per via del territorio straordinariamente bello su cui dovrebbe "viaggiare" - si trova anche la terra più delicata da trattare, la Maremma toscana, ma l' incipit dei lavori, avviati nel tratto meridionale (laziale) e già causa di forti deprivazioni, fa presagire infausti prosiegui e conferma l'allarme.
Nient'affatto trascurabile è, poi, l'aspetto economico. I cittadini pagheranno di tasca propria l'infrastruttura, tre volte. Prima, con la variante già pagata negli anni; poi durante i 35 anni gestionali col pedaggio (€ 1,80 ogni 10 chilometri); infine, restituendo alla SAT in toto i costi dell'opera.
Soldi-cittadini. È questa la dicotomia sulla scorta della quale si delinea la separazione netta fra due gruppi di individui che, particolarmente oggi in Italia, sta assumendo caratteristiche disumane, per via del primo gruppo, i cui membri, certo rientranti in una progenie antica, hanno un solo scopo, sintetizzabile nella parola suddetta e divenuta nel tempo anche la loro quasi intoccabile egida.
Questa parola, che accoglie fra i suoi adepti un variegato potere - politici (di ogni colore), costruttori, cardinali, finanzieri, archistar... - assume nomi di volta in volta diversi, a seconda dell'affare che si lega ad uno dei sottogruppi.
Sulla facciata un solo nome, sull'insegna una sola ragione sociale atta a nascondere la vera faccia e i veri propositi, i privilegi del potere che si fonda sempre sugli stessi schemi: patti e alleanze, intrecci nascosti o farisaicamente esposti.
Ho usato il termine "disumano" per via della condizione che oggi riguarda milioni di cittadini, in ogni angolo d'Italia i quali, appunto, rischiano di perdere (o l'hanno già perso) il diritto alla vita. La situazione è gravissima e ogni volta, nel loro territorio minacciato, piccoli gruppi di cittadini (anche se in centomila) sono costretti a scendere per le strade.
Ora è il turno della Maremma, del suo incantevole paesaggio e del suo coriaceo popolo che... ha bisogno d'aiuto. Chiunque deve fare l'impossibile
per essere presente sul luogo, per difendere i suoi connazionali e il territorio loro e del mondo intero, prima che accada l'irreparabile. Sul sito di Legambiente è rintracciabile lo studio - corredato di immagini - dello scempio finora "fermato", ribattezzato "Spaccamaremma". E il timore che una revisione, teoricamente in linea con le esigenze e le istanze di chi vive in quei luoghi, non si traduca in realtà, è più che legittimo ( i fatti italiani non lasciano più campo alla fiducia nell'esaustività delle parole, anche se scritte, sempre più distanti dalla correttezza delle azioni). A tal proposito basta osservare ciò che sta avvenendo nel tratto Civitavecchia-Tarquinia, dove la sofferenza di chi è stato deprivato di strutture e mezzi agricoli non potrà mai più essere ricompensata.I fautori del progetto, altalenante da anni tra approvazioni e cancellazioni da parte dei governi avvicendatisi alla guida del Paese, prevedono il rilancio dell'economia nazionale e la rinascita collettiva. Ma il controsenso è palese. L'Italia vanta, fra le sue risorse più importanti, l'arte e la bellezza del territorio. Com'è possibile conservarle entrambe se si susseguono notizie di incuria per la prima (il vergognoso caso Pompei è emblematico) e aggressione selvaggia per la seconda?
Negli anni sono stati cancellati scorci, paesaggi, coste, campagne fino a raggiungere dimensioni spaventose. Una parte dell'Italia, bellissima e ineguagliabile nell'intero globo e oltre, cancellata per sempre: solo tra il 1990 e il 2005 sono stati divorati 3,5 milioni di ettari, una regione più grande di Lazio e Abruzzo messi insieme (ndt). Un fenomeno che riguarda tutto il territorio italiano: speculazioni edilizie e abusivismo che, ormai non più a macchia di leopardo, hanno fagocitato terre, lavoro e tradizioni dalla Liguria al Lazio, alla Campania, alla Sardegna, alla Sicilia... alla Toscana.
Lande incastonate in una... poesia scritta tanti tanti anni faScogli, come quello di Talamone; parchi naturalistici, come quelli dell'Uccellina, della Sterpaia, di Rimigliano; luoghi più addentrati come Pitigliano dalle suggestive case a strapiombo arroccate; le terme di Saturnia; le fiabesche campagne che circondano Albinia, in cui al viandante non è dato altro che smarrirsi nei colori e nei profumi a cascata, nell'attesa di immergersi nelle acque della vicina Laguna di Orbetello, possibilmente alternandosi tra i Tomboli della Giannella e della Feniglia, accompagnato dai saltelli di un capriolo o dal battito d'ali di un fenicottero rosa.Se poi, al ritorno dall' argenteo mare, volesse proseguire il suo soggiorno, non avrebbe da far altro che volgere il capo verso i poggetti, oltre l'Albegna, per rinfrancarsi dalle soddisfatte fatiche, trovar comodo giaciglio e frugale ma luculliano pasto. L'ospitalità da queste parti è indimenticabile, può capitare di incontrare persone speciali, di quelle che senti vicine al primo sguardo o alla prima parola, pulite, bellissime e dolci, come le colline della vicina e sinuosa Magliano in Toscana, cinta da intatte mura senesi, nelle cui campagne anche Pino Daniele ha stabilito una sua dimora estiva.
Ma i nomi noti da queste parti non mancano, e sono anche più che noti agli abitanti di questi luoghi, risorti grazie al duro lavoro di altri maremmani - loro avi - che hanno reso fertile, fertilissima e rigogliosa, questa terra per lungo tempo paludosa, combattendo contro la malaria, alcuni ammalandosi fino alla morte ma giammai arrendendosi contro le avversità; hanno fatto sì che questo angolo di mondo, questo angolo di Toscana e di Lazio (la parte settentrionale, oltre la Tuscia romana, è appunto denominata Maremma laziale) diventasse fiore all'occhiello dell'Italia nel mondo. Oggi, è più che legittimo il timore che quel gruppo di persone, che nell'incipit ho racchiuso sotto il nome di "Soldi", abbia deciso di passare all'azione e recidere quel bellissimo fiore.
Ma in quel fastidioso nome - soldi - rientrano anche quei nomi noti, i cosiddetti vip, i quali, con grande dispiacere del popolo locale, hanno fornito paradossalmente un'arma ai sostenitori dell'autostrada. Questi ultimi, infatti, hanno giudicato l'opposizione al progetto, da parte dei ricconi - maggiormente concentrati fra Capalbio ed Ansedonia -, come la difesa delle loro spiagge dorate. Ma il punto è, ovviamente, un altro. Ai cittadini del posto, non interessano le schermaglie (vere o false) tra i poteri che, in fondo, navigano nell'oro e se qualcuno gli dovesse rompere il giocattolo, potrebbero acquistarne altri cento, mille e mille ancora, per sé e per le loro progenie.
Se si rovinano questi luoghi i vip troveranno un altro posto, mentre chi lavora in queste terre, chi da esse trae sostentamento, chi vi è legato affettivamente non potrà andare altrove come quei signori. Per la gente sarà la fine. Per quei signori - tutti i signori del potere - sarà solo un nuovo inizio, come sempre. Certo, bisognerebbe mettersi nei panni di Giuliano Amato, Fabrizio Cicchitto, Pierferdi Casini e la moglie Azzurra Caltagirone, Antonella Clerici e Paolo Bonolis ecc. per comprendere l'immane sofferenza, l'incommensurabile dolore da sopportare per trovare un nuovo spazio in cui costruire le loro lussuose ville, pari a quelle che lascerebbero all'Argentario; ma magari proprio il suocero di Casini, il costruttore Francesco Gaetano Caltagirone, potrebbe suggerir loro una confortevole soluzione, di certo non alle Salicelle di Afragola, a Scampia o nei nuovi non luoghi alle porte di Roma che portano la sua firma, ma sempre dove si possa respirare aria pulita e fresca e dove solo al panorama sia concesso di mozzare il fiato.
A Napoli, durante la marcia del 16 novembre 2013 contro il biocidio, in coro si scandiva: "La Val di Susa ce l'ha insegnato, il bene pubblico non va toccato". Ecco il punto: la "No Tav" è il modello da seguire per tutelare i beni della collettività, in primis l'ambiente - il territorio - per sottrarlo alla devastazione mascherata da progresso. Il miglior auspicio è indubbiamente il ritorno della democrazia, in cui i cittadini ripongano fiducia negli eletti (deputati a gestire la res pubblica) piuttosto che affannarsi strenuamente per preservarsi da continui attacchi. L'ideale sarebbe una civile e costruttiva discussione fra i membri di una qualunque comunità, mentre la triste e deprimente situazione odierna italiana è totalmente diversa, i cittadini sono costretti a riunirsi per contrastare l'avanzata dei poteri e la scia velenosa dei loro affari: finanza, immondizia, rifiuti tossici, cemento, asfalto...
In nome del danaro, un frammisto potere ha già distrutto l'Italia, e non solo. Le proteste dei cittadini sono state spregiativamente definite Nimby (acronimo inglese per "Not in my backyard", lett. "Non nel mio cortile"), al fine di sminuire l'attività di contrasto delle associazioni, considerandola pretestuosa.
Non vi è dubbio che bisogna valutare caso per caso, ma è scandaloso arrivare a pensare di togliere, alle associazioni e quindi ai cittadini, la possibilità di ricorrere in tribunale per rivendicare un diritto. Su questa scia, alcuni eletti dal popolo, anziché agevolare il dialogo, tentano di interromperlo, attraverso manovre dispotiche e scandalose, tali da rievocare risalenti azioni da regime. Emblematica rimane la proposta di legge n. 2271/2009, in cui si legge: "Qualora il ricorso [...] sia respinto perché manifestamente infondato, il giudice condanna le associazioni soccombenti al risarcimento del danno oltre che alle spese del giudizio". La proposta fu presentata dall'onorevole Michele Scandroglio e sottoscritta da tantissimi parlamentari, tra cui l'attuale ministro alle Politiche agricole Nunzia De Girolamo, che ci riporta alle ripercussioni che l'incombente "Autostrada Tirrenica" potrebbe avere sulle colture, a causa delle temutissime polveri sottili.
L'allarme della popolazione locale, oltre che su questi dati, si fonda anche sul timore di spettri nascosti, rappresentati da nomine e incarichi che hanno costellato questa storia. Fra i tanti, uno merita di essere menzionato più di tutti, per via di un'anomalia assurda: controllore e controllato coincidenti nella stessa persona, tale Antonio Bargone, presidente Sat nominato dal Governo commissario straordinario per la Tirrenica.
L'avanzata del cemento, dell'asfalto e degli affari sulla pelle dei cittadini sembra inarrestabile e chissà cosa pensano "questi signori" delle parole di Gianlugi Ceruti che, il 16 ottobre 2009, durante una conferenza dell'Accademia dei Lincei, non usa metafore: "In contesti paesaggistici di sovrana bellezza ed amenità quali la Valle dei Templi, la Costiera Amalfitana o le Colline senesi sono accaduti in questi anni fatti che ci coprono di vergogna di fronte al mondo [...], consumati con l'assenso dei comuni competenti".
Mi ricorrono alla mente, osservando queste lande in bilico, le parole espresse da Marcel Proust in ricordo della visita all'artista Elstir: "Una delle sue metafore più frequenti nelle marine che aveva nel suo studio in quel momento era (appunto) quella che, confrontando la terra al mare, sopprimeva fra loro ogni distinzione".
E quanto l'arte - in questo caso la pittura - sia legata da un eterno fil rouge lo si avverte contemplando le tele di due pittori maremmani - Silvano Stagnaro e Dino Petri - i quali, nei loro tratti, sembrano proferire la medesima frase: "Questa non è più la mi Maremma".