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Questa strana cosa chiamata "nido"

Da Suster

L'arrivo della nuova stagione meteorologica ha portato un po' di scombussolio nella mia routine quotidiana, o almeno promette di portarne presto.
Avevo intenzione di aggiornare la situazione a riguardo...
La verità è che non so nemmeno da che parte cominciare.
Ho perso il filo persino io.
Considerato poi che sono 18 volte che tento di iniziare a scrivere e ogni volta ce n'è una: una volta c'è Hasuna che guarda i documentari su Al Jazeera e mi interrompe di continuo e mi dice sarcasticamente che sono proprio di ottima compagnia; una volta c'è la pupa che ha la giornata storta e ci mette un'ora a dormire, e dopo mezz'ora è di nuovo vigile e insiste perché le faccia vedere i video di Rita Pavone su You tube...
Dunque andiamo per ordine.
Punto uno: non ci si dovrebbe mai lamentare di una situazione prima di essere sicuri che tale situazione sia permanente: nel caso la sorte dovesse decidere un brusco cambiamento di direzione al corso degli eventi, non solo non avreste più diritto di lamentela riguardo alla situazione passata, ma perdereste anche l'eventuale diritto di lamentarvi di quella presente!
Spiegazione: Suster iscrive la pupa al nido sin dal compimento del terzo mese di età. Non che abbia intenzione di mandarla così piccola (dopotutto lei nemmeno lavora) ma le hanno fatto una soffiata: se non iscriverà subito la figlia al nido, non riuscirà ad avere un buon piazzamento in graduatoria e di conseguenza non potrà mai usufruire di questo indispensabile servizio per il resto dei suoi giorni.
Così la prima volta non passiamo. La seconda rinnoviamo la domanda e ci classifichiamo 264esime.
Un buon piazzamento, considerato che i posti sono meno della metà.
Quindi, convinta che non saremmo rientrate nemmeno questa volta, inizia a inveire contro i mali di questa nostra società, per il fatto che, il nido, il lavoro, oddio come faccio, l'affitto, il mutuo, la casa, la banca... un delirio di autocompatimento davvero deplorevole e patetico.
Forse qualcuno ricorderà la nostra tragicomica prima esperienza di contatto con una di queste famigerate strutture chiamate "nidi" ove le mamme indaffarate parcheggiano per qualche tempo i loro figli piccoli. Ve ne parlavo qui.
Dopo questa visita mi ero detta: che bisogno c'è di spendere tanti soldi per una struttura che non mi convince? Aspetterò ancora che lei sia un po' più grande.
Quello che non ho raccontato è stato un secondo incontro con un'altra struttura, stavolta pubblica, e precedentemente osannata da amici che ci avevano mandato la loro figlia anni prima.
Ne sono uscita piuttosto depressa, perché stavolta il nido in questione mi era parso una figata pazzesca!
Intanto, rispetto al nido dell'orto (vedi sempre link precedente), le visite sono avvenute in orario non scolastico, che da una parte forse mi sarebbe piaciuto vedere per una volta le attività svolte dai bimbi in tempo reale, ma ho poi capito che l'ingresso degli adulti nello spazio dei piccoli era assolutamente off-limits in orario di attività, intanto per un problema di igiene (punti in più per il nido pubblico: la mancanza di igiene era una delle cose che mi aveva colpito nell'altro), e poi per una questione, così almeno credo di aver capito, anche un po' simbolica. Quello è il luogo dove i bimbi costruiscono per la prima volta le loro relazioni sociali senza l'ausilio dei genitori, il loro mondo privato.
E comunque, la visita guidata sembrava un giro turistico in un luogo di alto interesse culturale, a parte il fatto che al posto della macchina fotografica, appesa al collo avevo la pupa di circa nove mesi, che a quell'epoca iniziava a gattonare e si sarebbe volentieri butatta all'interno di ogni stanza traboccante e lussureggiante di fantastici coloratissimi giochi d'ogni foggia e misura, ma non si poteva, ed io rosicavo per lei (ma anche un po' per mio proprio conto, lo ammetto).
Allora: c'era la sala della sensorialità, con una grande vasca di sabbia che non aspettava altro che d'esser travasata di contenitore in contenitore da tante piccole mani grassocce e maldestre, sparpagliata, scavata, ammonticchiata, dragata... con tanti contenitori diversi pieni di foglie secche, sassi, conchiglie, rametti, cortecce, e poi alimenti di varie consistenze, dal più farinoso al più granuloso, da combinare, impastare, esaminare... C'era poi la sala della lettura collettiva e dell'ascolto musicale, e delle attività di gruppo, la sala ricreativa o del gioco individuale e non indirizzato, la sala della totale distruzione fisica... io la chiamo così perché qui i bimbi sono liberi di autodistruggersi, se vogliono, tanto le educatrici sono in grado comunque di restituire ai genitori un pupo integro e funzionante in tutte le sue parti, perché ogni angolo di questa sala è rigorosamente imbottito modello manicomio d'epoca, e i pupi possono quindi sbizzarrirsi nelle più fantasiose evoluzioni ginniche, finanche nella pratica del Wrestling.
E infine c'era lei, la sala dal magico nome: la Sala della psicomotricità, che già dal termine si capisce che è roba tosta. Voglio dire: a me madre, per quanto sbadata e anticonvenzionale possa o voglia apparire, fa piacere sapere che dietro alle attività pensate e offerte da una struttura ci sia un minimo di programmazione, di studio, ché dietro a un nome simile ci deve stare per forza una motivazione. O quanto meno fa figura. In ogni caso mi è piaciuto il fatto che le educatrici si siano prese la briga di illustrare ai genitori in visita quale fosse, sia pure per sommi capi, l'impronta metodologica del nido, laddove, nel primo nido visitato (quello privato) avevo avuto la netta impressione che tale impronta mancasse del tutto.
Psicomotricità, vale a dire: valorizzare le potenzialità cognitive e di apprendimento attraverso il corpo e l'acquisizione della consapevolezza delle sue potenzialità e dei suoi limiti; incoraggiare nel bambino la sperimentazione individuale e la libera espressione di queste potenzialità attraverso il movimento libero e distruttivo all'inizio, e poi sempre più guidato verso la costruzione e la condivisione.
In parole povere: i bambini all'inizio fanno un gran casino e si divertono da matti sfogando e riversando le loro incontenibili energie e le loro brame distruttrici su cataste di enormi cuscinoni impilati a torre al centro di questa grande sala ovale. Immagino che corrano urlando qua e là per un bel pezzo.
Poi, infine, spossati, sono invitati a spostarsi a gruppi alle estremità della sala, dove, con l'aiuto delle maestre verranno coinvolti in giochi più tranquilli e complessi, sempre motori, ma che richiedono loro una maggior concentrazione coordinazione e attenzione.
Infine tutti seduti in gruppo ci si confronta e si racconta l'esperienza di gioco appena fatta.
Insomma: mi sono sempre più convinta che quel nido era una figata pazzesca, che se ci mandavo mia figlia ne sarebbe uscita fuori un'Einstein che a cinque anni avrebbe composto musica come Mozart e ballato come Fred Astaire. Sì qualcosa del genere.
Punto due: le cose che ti sembra di non poter avere diventano sempre incredibilmente, eccezionalmente, straordinariamente belle e desiderabili ai tuoi occhi.
Per contro io ero praticamente sicura che non saremmo mai rientrate nel numero dei privilegiati che ne avrebbero usufruito, anzi, chiesto e ottenuto conferma dei miei dubbi ad una delle educatrici che ci illustravano il funzionamento della struttura, le sale e le attività correlate, che, no, se io non lavoravo, probabilmente avrebbero dato la precedenza a tanti altri bambini le cui mamme invece, lavoravano sì, e la cosa mi aveva un poco gettato nello sconforto. Mi sentivo in una situazione di stand-by senza via d'uscita.
Il nido poi, e i pensieri ad esso correlati, erano stati messi da parte per un po'.
Un pomeriggio di settembre però, mentre correvo letteralmente dietro a una pupa ipereccitata alla vista delle bancarelle di souvenirs in Piazza dei Miracoli, tentando con difficoltà di impedirle di tirare in terra una panchetta piena di torri pendenti in miniatura di ogni dimensione e materiale, mi squilla il telefono. Ha inizio una scena da comico slapstick con me che tento di mantenere al telefono una parvenza di serietà, mentre continuo la mia incessante corsa alla "fermate quella pupa scatenata", che intanto ha preso di mira il banco della pelletteria "made in Italy" (mmmmmmmmh...) e fa strage di borse da 200 euro in su.
"Domani? Mh, sì, certo... No, pupa! Ferma! Vieni...  Va benissimo! 'Azz... Porc... Te l'avevo detto che veniva tutto giù! D'accordo, perfetto, ci sarò... Ma dove vai! Molla quella borsa che sei ancora piccola per queste cose... non raccogliere schifezze da terra!"
Insomma, avete capito.
Era il tizio (funzionario?) dell'ufficio degli asili nido comunali che mi comunicava l'assegnazione del posto per rinuncia delle precedenti in graduatoria (duecentosessantatre?)e che mi invitava a confermare l'iscrizione entro il giorno dopo.
Andai: il nido che mi era stato assegnato era proprio quello stesso che avevo visitato mesi addietro.
Nel giro di pochi giorni sono stata catapultata in una realtà parallela.
Giovedì la telefonata, venerdì mattina mi reco all'ufficio dei nidi comunali per la conferma.
Venerdì pomeriggio mi devo presentare a una riunione con le maestre per introdurre la struttura alle mamme dei nuovi iscritti (un incubo).
Lunedì c'è una fantastica merenda mattutina con bimbi, mamme, fratelli dei bimbi, da cui esco frastornata.
Alla riunione delle mamma ci vengono fatti una serie di cazziatoni preventivi (non fare tardi, non portare a scuola i bimbi con la febbre e/o vomito e/o sintomi di natura oscura, non chiamare all'ultimo momento per dire che faremo tardi, e comunque NON fare tardi). La cosa mi sembra un po' ingiusta, ma sensata.
Ma quanto parlano 'ste maestre però? Oddio, io ho lasciato la pupa con Bri, speriamo che non la stia facendo impazzire. "Naturalmente fateci tutte le domande del caso..." Sì ma quando ci fate parlare? Ma lo prendono fiato ogni tanto, o è una strategia per evitare domande? Ho capito la loro tecnica: si danno il cambio sistematico; finisce una attacca l'altra. Partono due discorsi in contemporanea: oddio, quale seguire? Ci fanno domande individuali sui nostri figli; risponde sempre la stessa mamma, quella che si è portata dietro il marito recalcitrante, che continua a fare battute che non fanno ridere mentre la moglie parla. Alla fine sono abbastanza esausta.
Ci dicono che ognuna dovrà fissare un colloquio individuale con le maestre per parlare degli aspetti particolari di ciascun bambino (magari spiego loro il problema delle sigle... saranno disposte a cantare su richiesta ogni volta che la pupa indicherà un fiore, un albero, un cavallo di plastica, o un cane disegnato? Uhm...).
Mi vien detto che la pupa farà il suo "inserimento" (termine tecnico: attenzione!) il 29 corrente mese (ecco, mi sono già appropriata del gergo da circolare scolastica).
La merenda cumulativa del lunedì è un delirio. Ovviamente, trattandosi di una maerenda cumulativa, stavolta mi porto dietro la pupa, un po' ansiosa e emozionata al pensiero di vedere che reazione avrà al suo primo approccio, se pure soft, con l'ambiente scolastico (va be', c'era già stata in visita, ma non contava).
Lei non batte ciglio: la metto giù e parte. All'inizio semina un po' di panico in cortile, lì dove siamo tutti radunati aspettando non si sa bene che cosa (forse, credo io, aspettando i ritardatari, per poi iniziare questo incontro dove sicuramente vorranno darci ulteriori delucidazioni. Si saprà solo in seguito che in realtà si aspettava l'arrivo del bouffet, che giungerà solo alle 11:30, quando noi due staremo ormai infilando, sfinite, la porta d'uscita). Lei si butta su un'intera scuderia di veicoli a tre e quattro ruote parcheggiati in un angolo, ma non sapendoli pilotare, continua inesorabilmente a speronare caviglie e calcagni di chi di passaggio, poi cambia veicolo.
Quando poi la moda dell'autovettura si diffonde a macchia d'olio tra i giovanissimi astanti, perde interesse alla cosa, e decide di partire a piedi. Dribbla con abilità marmocchi avvinghiati ai polpacci delle rispettive madri, o a quelli di madri altrui, ritenuti erroneamente quelli della propria, taglia la strada a ignare genitrici molto prese a discutere dei massimi sistemi educativi con maestre apparentemente enormemente interessata, a momenti ne azzoppa una e ne rovescia in terra una seconda. Lei va, sicura, a testa bassa, la strada la conosce (ma come? dove vole andare?).
Si è incaponita che vuole entrare nella scuola, ed ha inizio allora un penoso tira e molla, tra lei e me, la madre, che, convinta che la merenda debba essere circoscritta allo spazio del cortile per non creare subbuglio nelle sale interne, tenterò con ogni sforzo di distrarla da quella sua ossessione di dare l'assalto a quell'incredibile arsenale di giochi che ha intravisto di sfuggita passando al nostro arrivo.
Io tentavo di attirare con tutte le forze l'attenzione di qualche maestra perché mi togliesse d'impaccio, ma quelle non mi si sono filate neanche di striscio. certo, potevano anche dirmelo che i bambini potevano tranquillamente andare a giocare anche all'interno... Quando alla fine mi sono lasciata guidare, sconfitta, dalla pupa, scopro che all'interno accadeva un vero marasma: bimbi e giochi tutti mischiati in un unico torpore da ubriacatura (cit. colta). Un casino che ne bastava un decimo. La pupa non si è fatta pregare: ci s'è gettata a pesce. la sala della distruzione fisica è stata la sua eletta. ci si è distrutta letteralmente, riuscendo a cozzare la testa nell'unico decimetro quadrato privo di imbottitura anti-traumacranico. Ma non ha pianto tanto, anche se era stanca come un villeggiante dopo il controesodo vacanziero, si è rialzata e ha ricominciato. Finché colei che tra le maestre era stata individuata da me come la personalità organizzativa del gruppo, non ci invita blandamente a levarci dagli zebedei, ché si poteva andare via anche prima dell'orario di chiusura, anzi, forse era pure meglio per i bimbi che non si stancassero troppo il primo giorno, ma che gli restasse la curiosità di scoprire ancora le meraviglie del nido.
E così me ne vo, rintronata, dopo aver atteso invano le delucidazioni che credevo ci dovessero esser date, senza aver scambiato parola o confidenza con alcuna madre, senza essermi accattivata la simpatia o l'interesse di alcuna maestra, senza aver capito che d'ora in poi mi tocca calarmi un poco di più nel ruolo se voglio esser presa in considerazione.
In effetti dopo qualche giorno da questi fatti mi rendo conto che non ho fissato l'appuntamento per il colloquio individuale (lo sapevo che qualcosa me la scordavo. C'è da dire però che non mi hanno cagata molto per le tre ore totali che son stata lì), e quindi telefono al nido per non sembrare negligente e farmelo fissare.
"Salve sono la mamma di una bambina che deve fare l'inserimento (mi presento).
Chiamavo perché mi sono dimenticata di fissare il colloquio individuale con le maestre..."
Pausa di riflessione-disappunto.
"Mi scusi, ma lei con che maestra ha parlato?"
"Boh! Con nessuna ancora. Chiamavo apposta..."
"Ma alla merenda collettiva non ha parlato con nessuna?"
"Ehm, no. Dovevo? nessuno mi ha detto niente. Io son stata lì un'ora e mezzo..."
Eccheppalle.
Cambio di interlocutore.
"Ah, ecco, volevamo chiamarvi infatti."
"Ah, sì?"
"Buone notizie: un bambino è slittato a ottobre e quindi voi possiamo farvi venire al suo posto questo giovedì. Giovedì 22."
"Per... l'inserimento? Subito?"
"Sì. Mi raccomando il certificato medico".
Ecco, non me l'aspettavo proprio.
C'è da dire che non me l'aspettavo proprio. Un anticipo. Io contavo di prepararmi psicologicamente con tutta la calma che due settimane di tempo mi avrebbero concesso.
Naturalmente abbiamo fissato il colloquio individuale.
Ci sono andata con la pupa, stanca che doveva fare il pisolino a quell'ora, ma così, tanto perchè non si prolungasse troppo 'sto colloquio.
In effetti è durato meno di un quarto d'ora. Pareva che non mia aspettassero. o sono io che ho sempre l'impressione che gli altri non mi prendano affatto in considerazione' il dubbio nasce spontaneo.
prima mi chiedono se sono la mamma di Rocco. Poi, a rosposta negativa, rispondono "Ah", e mi fanno aspettare una decina di minuti. Ma io avevo l'appuntamento... boh!
La maestra parla a raffica come l'ho vista fare già alla prima riunione, quella di sole mamme (che poi non era neppure vero, perché c'erano pure un sacco di pupi vocianti, ma va be'). Ripete un sacco di cose già dette in precedenza, ed io aspetto a lungo il momento in cui mi chiederà qualcosa sulla pupa ma quel momento non arriva.
La pupa è stanca, ha dei giochini che le sono stati dati perché si intrattenga mentre noi parliamo, ma lei me li porta e aspetta che io partecipi al suo gioco. Me lo chiede in maniera piuttosto sonora. Io sono distratta e imbarazzata sul da fare. La maestra mi chiede se per caso la bimba non è stanca. Dico sì. Dice si vede. E leggo disappunto, ma forse sbaglio. Dico che è abituata a giocare molto con me, che da sola non si intrattiene ancora molto. Dice: "ah, ecco!" e prende appunto su un foglio che ha davanti, sillabando a fior di labbra" gio-ca con a-dul-ti".
Non mi piace la maestra e non mi piace il suo modo di fare. mi aspettavo interesse, complicità, dialogo con la bambina, e invece mi sento trattata come una scema e mi incazzo.
leggo in cima al foglio "Jasmine" e dico:
"No: il nome è Yasimn, con la Ipsilon e senza e finale, glie l'ho già detto quando siamo venute qui, e lei lo ha scritto anche quella volta con la J."
"Ah, Yasmin? ma come si pronuincia?"
"Si pronuncia Iasmìn e si scrive Yasmin. Più semplice non si può."
"Cioè: voi la chiamate Yasmin?"
"Sì, noi la chiamiamo Yasmin e lei si chiama Yasmin".
"Ma tu guarda! E io che l'ho scritto sempre in quell'altro modo. Ma di dove siete, rumeni?"
Ah, ecco dov'era il problema.
"Io sono di Roma. E il padre è di Misurata." (Vattelo a cercare sull'Atlante)
Ecco: pronti per il nostro ingresso nel mondo vero, nella società fuori dalle mura di casa: niente più pupa, niente più Mimi, Mimosa, Pupirizzi, Pupazza, Pupazzola, Puzzola, Cipolla, Cicoria, Cipo-Cipolla s'alza-e-barcolla. Ora vai nel mondo col tuo nome d'anagrafe, e correggili tutti, non soprassedere mai sulla tua ortografia!
Mi è parso che dopo questa io abbia avuto diritto a un minimo di attenzione e rispetto in più e la cosa mi ha deluso e amareggiato. Se bisogna essere acide e scortesi...
Forse non sono pronta per il confronto su questo terreno. Forse dovrei imparare a non aspettarmi che gli altri mi prendano in considerazione se non sgomito e se non sbraito, e se non sono sempre la prima della fila a sbracciarmi come una dannata urlando "Mia figlia! Mia figlia!".
ma spero che questo non penalizzi però lei nei rapporti che poi dovrà intavolare con queste persone che, ahimè, dovranno prendersi cura di lei in mia assenza.
Magari è tutta una paranoia mia, mi aspettavo di meglio da cotanta e cotale presentazione.
Un po' di attenzione per le persone, a prescindere dalla loro provenienza, o da quanto strillano per farsi guardare.
Ecco, tutto questo per raccontare come mi si è presentato il nido. E forse è solo che mi sento ancora un tantino vulnerabile sul terreno del confronto maternale, forse è che mi si ripresentano fantasmi di ambienti in cui sento di non trovare il mio posto. Forse è che le strutture in fondo, per quanto efficienti e funzionanti, metodologicamente all'avanguardia, sono pur sempre fatte di persone, e le persona magari non sempre, non in tutto danno proprio il loro meglio. Ma magari sono ottime, ottimissime educatrici.
Poi c'è chi dice che le madri, al momento di separarsi dai figli diventano possessive e regrediscono emotivamente a uno stadio di grande immaturità relazionale. Ci sta, eh.
Dopo il colloquio è arrivato l'autunno, con breve anticipo rispetto ai tempi astronomici. la pupa si è presa un po' di bronchite e di notte tossisce forte, non dorme bene. chiamo il nostro dottor Z. per riferire il tutto, e cheidere il famoso certificato per l'ammissione al nido.
mi dice: "Ma con la tosse? non è meglio rimandare?"
E così rimando. Chiamo di nuovo l'asilo, chiedo subito della mia amica organizzativa organizzatrice con problemi di ortografia onomastica. Lei mi dice:
"tosse? Oh, no, no. Allora facciamo così: si rimanda a lunedì o a giovedì prossimo. Lei mi chiami dopo che è stata dal dottore, e vediamo. Però la retta la dovete pagare da domani ormai."
Io rispondo che, se è per questo, nessun problema, pagherò da domani, non morirò certo per questo.
E così: che dire? Inizio confusionario e confuso, ma penso, e credo, che lei forse se la saprà cavare meglio di me lì fuori, nel mondo. Un poco mi fa strano vederla in mano ad altri, a sconosciuti per i quali è difficile e inspiegabile persino il nome che porta, fuori dal nostro mondo di canzoni a ripetizione, da mattina a sera, di codici, di messaggi criptati, di gesti che vogliono dire, di monosillabi che intendono cose che io so. Ma si costruirano ancora altri rapporti, sui quali io non potrò avere ingerenza se non in maniera tangenziale ed esterna.
Questa è appena la punta di un iceberg.

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