Ogni mi ritrovo a rileggere gli scritti di questo o quell’antispecista. Ripenso alle conversazioni e ai dibattiti che ci ho avuto, e mi faccio sempre più persuaso di una fondamentale incomunicabilità filosofica con loro. Non sono sicuro che essi se ne rendano conto appieno, in effetti.
Si potrebbe dire che i filosofi danno risposte diverse alle stesse domande, e dunque le risposte di alcuni possono essere migliore di quelle di altri. Ma non è il nostro caso … io credo che non condividiamo le stesse domande.
Le domande più tipiche che si pongono sono “come si giustifica la violenza?”, “perché esiste la violenza?”, “quali sono le basi della sopraffazione?”, “come combattiamo la sopraffazione?”
Io queste domande non le capisco. Ci scrivono sopra interi libri nel tentativo di rispondervi, e onestamente non mi prendo più neanche il disturbo di leggerli. Un intero libro devoto a rispondere alla domanda “perché esiste la sopraffazione?”? Ma stiamo scherzando? E il prossimo libro su cosa lo facciamo, “che forma hanno i palloni?”?
Nel tipo di domande che interessano loro, e nel tipo di domande che interessano me, si vede qual è la ragione dell’incomunicabilità fra questi due mondi. E si vede anche la ragione per cui invece comunicano benissimo con tanti altri filosofi morali, anche “specisti”; rispondono alle stesse domande, seppur in modo diverso …
Ricapitoliamo: loro si chiedono perché c’è la sopraffazione, perché c’è la violenza, quali sono le strutture di potere che li determinano, le culture che li alimentano eccetera.
Io non mi chiedo questo. Trovo banali domande di questo tipo, sopraffazione e violenza sono naturali come la gravità o la pioggia. Io mi faccio domande su come esistano l’altruismo, la collaborazione, la morale. Quelle sono le stranezze.
Partiamo un po’ da lontano: come nasce il primo essere vivente?
Un cellula, o meglio una proto-cellula. Ma cosa caratterizza una proto cellula, che la rende diversa da tutto il materiale organico che era esistito sino ad allora?
Una barriera. Il primo atto della vita è lo stabilimento di un confine fra sé e non-sé. E con quel confine nasce una differenza di trattamento, una discriminazione. La base è quella. Ora all’interno di questa barriera succede una cosa che nel resto dell’universo non succede: l’entropia diminuisce. Inevitabilmente, a spese di tutto ciò che sta fuori. Questa è storia e scienza, è così che accade.
Quindi la vita stessa nasce con un atto di autoaffermazione e di sopraffazione: la cellula diventa una fabbrica di entropia, che scarica i propri rifiuti all’esterno e se ne prende il meglio che può. La base della vita è sopraffazione.
Ovviamente la presa di coscienza di come sia fatta la “base” non pesa poi così tanto sulle considerazioni che faremo sul resto dell’edificio. Al primo, al secondo, o al quindicesimo piano, possono essere costruiti paradisi di altruismo e collaborazione (più o meno, con certi ovvi limiti diciamo). Ma rendiamoci conto da cosa siamo partiti: siamo partiti da un atto di sopraffazione, e quella sopraffazione resterà il pilastro centrale. È normale. Normale come la caduta dei gravi, normale come la pioggia.
Ora, se abbiamo cominciato così, con la sopraffazione indiscriminata del forte sul debole, com’è che adesso esiste, seppure entro confini ben precisi, la possibilità dell’altruismo? Com’è possibile che dalla violenza assoluta della vita siano nati principi di non violenza?
La risposta ormai la conosciamo, ma non è banale. Quando la nostra prima proto cellula incontra un’altra proto cellula, una delle due finisce divorata. Quella più forte sopravvive, quella più debole muore … ma il punto è che quella più forte in un’altra circostanza può trovarsi ad essere più debole. Dunque conviene forse fare diversamente: quando le forze sono comparabili, meglio non combattere. Dopotutto, due cellule sono più forti di una, e se si alleano tutte le altre capitoleranno.
Così nasce un patto, più o meno fragile, che lega queste due cellule.
Qui nascono le domande interessanti: come fa ad esistere questo patto, come è possibile e a che condizioni può accadere che qualcuno vi sia incluso, come possiamo fare a starci dentro e ad assicurarci che funzioni per noi … Queste sono domande interessanti, legittime.
Loro invece ragionano proprio al contrario.
Esiste il patto. Ed è assoluto, eterno, “naturale”, ovvio, dato. Altruismo, scontato, certo, bisogna essere altruisti. Violenza? Brutta, perversa, errore; chissà come mai possa esistere la violenza.
Vedono la violenza e ci vedono un mistero, qualcosa da analizzare. Addirittura si dilungano in lunghi testi di psicologia spicciola che dovrebbe spiegare come fa la gente a “giustificarsi moralmente” perché mangia animali … E certo, è una cosa che va proprio giustificata, eh, proprio una stranezza.
Certo, dev’essere un grande mistero come mai un essere vivente, che esiste in virtù di un’originaria sopraffazione di una molecola su un’altra e di una cellula su un’altra, i cui geni sono sopravvissuti a scapito di milioni di altri individui, che perfino quando era uno spermatozoo ha dovuto fare morire tutti i competitori per esistere, possa essere egoista, violento e capace di sopraffazione …
Chiariamolo ancora, perché so che queste cose la gente non le capisce nemmeno se le ripeti dieci volte: io non sto dicendo che l’essere umano sia o debba essere sempre violento, insensibile ed egoista. Tutt’altro, gli umani sono anche pieni di amore e compassione, e tali doti gli sono preziose.
Quello che sto dicendo è che in quel vasto insieme dei fenomeni biologici, se vogliamo possiamo riferirci ad esso come “natura”, queste sono piuttosto l’eccezione che non la regola. E di gran lunga.
Dunque non c’è davvero niente di strano che noi ammazziamo, che rubiamo, che sterminiamo, che stupriamo … Figurarsi se c’è qualcosa di strano nel fatto che uccidiamo animali per mangiarli! È la cosa più normale del mondo! La cosa strana è che ci sia gente che diventa vegetariana perché le dà fastidio l’idea che gli animali muoiano, visto che di regola gli animali muoiono (forse le aragoste sono un’eccezione …), e il più delle volte ammazzati da altri animali.
Io mi pongo le domande su quel ristretto, temporaneo, fragilissimo miracolo che è la solidarietà umana. Quello è interessante e merita profonde analisi. È un miracolo, appunto, una cosa strana ed eccezionale, e infatti grandemente imperfetta, e soprattutto ristretta nel tempo, nello spazio, nei campi di applicazione. Riusciamo a mantenere rapporti sociali con un massimo di centocinquanta persone circa; questo vuol dire che per noi è normale interessarci dell’esistenza di circa centocinquanta persone. Non mi sorprende affatto se già i tizi del paese di fronte ci stanno sul cazzo; non li conosciamo, hanno usanze diverse, magari anche aspetti diversi, è ovvio che siamo diffidenti e che cerchiamo di privilegiare noi stessi rispetto a loro.
Qui interviene la ragione umana, che fa ancora altri gesti miracolosi: per esempio è in grado di dirci che metterci a fare la guerra con questi neri o con questi arabi è pericoloso e dannoso per entrambi, e ci suggerisce dunque di trovare altre strade.
Non è una differenza prospettica da poco quella su cui sto attirando l’attenzione, perché quello che si domandano loro è “quale legittimazione c’è ad escludere gli animali dalla cerchia della solidarietà?”, che è una loaded question, suppone che la cosa vada spiegata in qualche modo strambo, magari tirandoci in mezzo Marx o Derrida. Invece la domanda che mi pongo io è “perché mai dovremmo includerci anche solo tutti gli umani, sempre ammesso che dobbiamo davvero farlo?”
Io credo fondamentalmente che tutto il dibattito dell’antispecismo si rispecchi sempre e comunque in una singola dicotomia: da una parte gli antispecisti che pensano che la morale, l’altruismo e la collaborazione siano una specie di assodata legge cosmica, rispetto alla quale la perversione umana ha introdotto gli elementi alieni della violenza e della sopraffazione, che dunque vanno eliminati a tutti i costi. E dall’altra io e quelli che la pensano come me, che riteniamo che la sopraffazione e la violenza siano quanto di più simile ad un’assodata legge cosmica, rispetto alla quale l’inventiva umana ha introdotto gli elementi alieni della morale e dell’umanitarismo, che vanno coltivati fin quanto possibile ma senza la pretesa che tutto l’universo (e.g., gli animali) vi siano inclusi.
La ragione per cui il loro approccio sembra così allettante per molti è che effettivamente la maggior parte delle persone condivide la loro prospettiva: la credenza falsa nella morale e nell’altruismo come fatti assodati della natura (io lo chiamo tutto “realismo morale”, in barba a chi possa non apprezzare l’uso particolare di questo tecnicismo). Allora se l’altruismo e generosità sono davvero universalmente “buoni”, se rappresentano fatti assodati su ciò che per il cosmo intero è “bene”, dobbiamo espanderne l’applicazione a tutti gli esseri viventi. Siamo chiamati a farlo. Ma se così non è, se il giusto e lo sbagliato e il bene fossero soltanto un espediente di sopravvivenza e di convivenza, allora non saremmo chiamati a metterci dentro i non umani, non ne ricaveremmo nulla.
Ovviamente, l’idea che dobbiamo espandere altruismo e generosità a tutto il reame dell’esistente genera evidenti paradossi. Per esempio, sarebbe sensato uccidere tutti gli animali carnivori in quest’ottica, no? Ma se lo facciamo, presto anche gli erbivori andranno estinti in conseguenze degli squilibri ecologici che abbiamo generato. Dunque semplicemente non possiamo davvero espandere a tutto l’universo la nostra regoletta di altruismo e generosità e baci e abbracci, l’universo non funziona così. L’universo ha bisogno del “male”. Ma se ne ha bisogno, se al “bene” serve il “male”, allora il male non è così male, no? Anzi, in effetti è bene! Un bel paradosso.
E qui, infatti, sta l’unico riconoscimento di valore filosofico che io sia disposto, e di buon grado, a concedere all’antispecismo: rappresenta una confutazione ab absurdo del realismo morale. Si mostra, insomma, che se il realismo morale fosse vero arriveremmo ad assurdità come quelle dell’antispecismo, e dunque concludiamo che il realismo morale dev’essere falso.
In questo senso, è davvero un buon esercizio.
In tutti gli altri, è davvero interessante come la risposta alla domanda “perché esistono i bicchieri?”
Per berci. Ecco. E adesso voglio il mio dottorato in filosofia.
Ossequi