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"Questo è il punto. Istruzioni per l’uso della punteggiatura" di Francesca Serafini

Creato il 22 luglio 2012 da Sulromanzo

C’è del vero nei proverbi? A sentire Francesca Serafini, autrice di Questo è il punto. Istruzioni per l’uso della punteggiatura (Laterza, 2012), sembrerebbe proprio di sì.

Scopriamo, infatti, che “Per un punto Martin perse la cappa” si riferisce ad un evento realmente accaduto, in cui uno dei più importanti e usati segni di interpunzione, il punto [.], cambiò le sorti di un uomo. Si trattava di un incisore, nonché abate, cui fu commissionata un’incisione per il portale del monastero di Asello. Il testo doveva essere «Porta patens esto. Nulli caludatur honesto.» Ossia ‘La porta resti aperta. Non sia chiusa a nessun uomo onesto’. Ma per un fatidico errore o per la scarsa attenzione di Martino ai segni interpuntivi, il punto con funzione segmentatrice fu inserito al posto sbagliato, facendo assumere alla frase un significato opposto all’intenzione: «Porta patens esto nulli. Caludatur honesto.» Ossia ‘La porta non resti aperta per nessuno. Sia chiusa all’(uomo) onesto’. Così a causa di un piccolo punto Martin perse la cappa, ossia il mantello di abate. Da questo aneddoto Francesca Serafini parte per un viaggio fra i principali segni di interpunzione, la punteggiatura per capirci, e sul suo necessario e implacabile ruolo nel facilitare o  ingarbugliare i pensieri umani, una volta tradotti su carta. Si tratta di un percorso assai piacevole, perché spogliato del linguaggio tecnico che affligge, insieme al sottile compiacimento di molti linguisti per la conoscenza della “giusta lingua” o peggio della lingua dei giusti, testi di carattere divulgativo e, permettetemi la parola, istruttivo che ultimamente stanno cercando, a ragione, di ricordare agli italiani come “respira” la loro lingua. Francesca Serafini riesce a spiegarci l’utilizzo dei puntini di sospensione […] con una tavola di Topolino o uno stralcio del dialogo di Tutto su mia madre di Almodovar, si spinge a paragonare le parentesi [()] a «un cantuccio di pensieri dell’io narrante.» e a ripercorrere per noi il mirabile, forse imbattuto, utilizzo della virgola [,] di José Saramago e della sua traduttrice (Rita Desti) in Memoriale del convento, quando traducono in segni il parlottio delle donne. Potrei continuare con altri esempi, ma preferisco lasciare al lettore il piacere della scoperta e soprattutto della consapevolezza crescente della propria lingua; consapevolezza che in lui troverà spazio, man mano che procederà in questo libro che, a differenza dei comuni boschi narrativi, non sarà mai oscuro e intricato, ma eccezionalmente limpido, grazie alla capacità dei veri esperti di far apparire semplice e immediato ogni nuovo segmento di conoscenza che vorranno condividere, rendendo la sua acquisizione così naturale, da pensare di averla sempre posseduta. Una consapevolezza che non sarà mai certezza assoluta. E come potrebbe esserlo davanti a una lingua in continua evoluzione? Una lingua viva, parlata, aperta a mille contaminazioni, un animale dinamico e sfuggente, che sì, ha regole certe, ma soltanto finché qualcuno si stancherà di applicarle e ne proporrà una revisione. Arriveranno i linguisti allora e la trasformeranno in una nuova regola, che soppianterà la precedente e che, a sua volta, sarà sostituita dalla caparbietà di un altro e più temerario innovatore. Pensiamo per esempio a simboli secondari e per molti inutili che d’improvviso hanno avuto la loro rivincita (quante volte usavate il cancelletto [#] prima dell’arrivo di Twitter?) o a orrende giustapposizioni semantiche come “anche no”. Non c’è limite a questo viaggio e quindi non vedrete l’ora di conoscerne la prossima tappa.

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