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Quindici dicembre, meno dieci

Da Nuvolesparsetraledita

Quindici dicembre, meno dieci

I passeri cinguettano nascosti in fondo alla siepe – sembrano farsi coraggio con i loro stessi suoni ripetuti, che crescono poi si abbassano e divengono lieve bisbiglio, e si alzano ancora dopo un breve silenzio – un volo di cornacchie passa radente ai tetti e lancia il suo aspro richiamo. Non li vedi: nascosti i primi, troppo veloci le altre, e prima che tu abbia alzato il capo sono già sparite. Ma in alto c’è un cielo rosato, promessa di tempo sereno, stamattina; le nuvole grigie trascolorano nell’azzurro polvere, nel giallo lieve e cangiante di quest’alba tarda di metà dicembre. Una bianca scia attraversa il cielo: dell’aereo vedi solamenta il luccicore metallico, poi dispare.

La catena con gli angioletti vestiti di rosso – grandi occhi azzurri, riccioli d’oro – sulla sinistra del portone; una stella rossa e oro, con i rami d’agrifoglio e le pigne a destra. Se entri sul muretto tanti piccoli oggetti: tre Papà Natale di forma diversa, un pupazzo di neve senza carota ma con la scopa, un vaso con un pinetto imbiancato e fiocchi di diverse fogge, uno gnomo vestito di rosso anche lui, candelabri e candele. Le solite cose di pessimo gusto che fanno tanto Natale. E l’albero decorato di rosso e di oro, alto – ricco di palline rosse e oro, di bambagia – nell’angolo del salone verso la finestra così si vede anche da fuori quando lo accendi, le decalcomanie dorate, stelline fiocchi di neve un grasso pupazzo, un altrettanto grasso Babbo Natale che s’invola verso l’alto abbandonando il camino che ha atteso …

Cambierai tono, cambierai voce: racconterai e ne troverai il tempo. Devi trovarne il tempo – adesso, adesso, comincia subito, non ti fare distrarre dai piatti da lavare, dai panni da stendere, dal pavimento da spazzare, non uscire a lavorare: datti malata, telefona, dì che hai la febbre! – perchè vola questo tempo infame e domani è già Natale. Annoia tutti per le stesse parole che sono sempre le parole di una vita che scappa tra le dita come nuvole che il vento sparge, e non è la scia dell’aereo che ora trascolora e dispare, non è il gracchìo delle cornacchie che battono i tetti, non sono i passeri che pigolano all’inverno e alla fame. E’ il cielo, è la nuvola d’oro che ad occidente riflette il sole quasi alto, sono le tue dita che picchiettano la testiera e si affrettano. Cambia il cielo, cambiano le stagioni …  Resta la vita, intorno.

Quindici dicembre, meno dieci

A volte quando guardo

A volte quando guardo la mia vita
e, tizzo che di cenere si copre,
ciò che feci ai miei occhi si scolora,
con un brivido freddo mi percorre
l’improvvisa paura di morire.

Se domani morissi, se sapessi
di morire, la casa lascerei
ed uscirei a zonzo per le vie
per rimanere solo con me stesso
con sopra il capo il cielo vasto e vuoto
sotto i piedi la terra fredda e dura,
come solo sarei in faccia al nulla.

Tra gli umidi guanciali non mi spenga
senza rumore qualche malattia,
come debole fiamma poco vento!

Pellegrinando andare per quei luoghi
dove passai da piccolo col padre;
dare
il primo bacio e l’ultimo agli amici;
toccare l’erba
come si tocca un capo di bambino
e saper che quell’è l’ultima volta;
prender congedo dalla dolce terra:
dolce così non mi sarà mai parsa.

Poi mettere alla vita il mio sigillo.

Camillo Sbarbaro


Archiviato in:DIARIO, emozioni, riflessioni e momenti, sensazioni Tagged: Babbo Natale, Camillo Sbarbaro, cornacchie, passeri

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