Domenico Quirico presenta il suo ultimo libro, Il grande califfato
Sono numerosi gli interrogativi che sorgono davanti alla violenza dello Stato Islamico in Medio Oriente. Molti dibattiti in tv cercano di spiegare al pubblico cosa sia l’Isis e che progetto abbia. In questo difficile scenario, è meglio affidarsi a chi conosce i fatti e ha rischiato la vita per raccontare le vicende legate alla Siria. Lo scorso giovedì, il giornalista Domenico Quirico ha presentato, presso la Feltrinelli di p.zza Piemonte a Milano, il suo ultimo libro Il grande califfato (Neri Pozza Editore). Il cronista de La Stampa nell’aprile del 2013 fu rapito in Siria e liberato dopo cinque mesi.
Le parole di Quirico sul suo rapimento
«La privazione della libertà è un’esperienza totalitaria. Quando si passa per un’esperienza totalitaria non si riesce mai raccontare fino in fondo cosa ti è accaduto. Un’idea che mi è venuta quando sono tornato vivo nella mia vita precedente. È successo ad altri scrittori, come a Levi, dopo quell’esperienza nel gulag nazista. Riesce a raccontare fino ad un certo punto perché c’è qualche cosa che non si può trasformare in racconto. Forse è l’estrema trappola che la prigionia ti impone, un sorta di cappio che ti porti dietro e non riesci a slegare: il senso della inesprimibilità della tua esperienza umana. Si tratta di uno spazio obbligatorio di silenzio perché non riesci a trovare le parole. Il silenzio è il legame eterno tra me e coloro che mi hanno rapito. Mi ha fatto pensare che quello che sta accadendo nel vicino oriente sia qualcosa di enormemente diverso da tutto ciò che è accaduto prima. C’è qualcosa di diverso, la struttura è diversa. Sono convinto di questa unicità ovvero la costruzione nel fuoco e nel sangue di un nuovo progetto totalitario».
L’esperienza del rapimento – come ha raccontato Quirico – lo ha portato a non rinunciare a narrare le vicende dei luoghi di cui si è sempre interessato.
L’intervento di Quirico sul totalitarismo
L’inviato de La Stampa ha evidenziato un elemento di novità nel progetto dello Stato Islamico che non deve essere soggetto a mistificazioni. Il suo intervento si è focalizzato sul concetto di totalitarismo.
«Questo totalitarismo è molto diverso dai regimi autoritari italiani. Nella sua essenza. La dittatura elimina tutto ciò che la intralcia o che si oppone esplicitamente al suo permanere e al suo svilupparsi. Il regime siriano di Bashar al-Assad è una dittatura non è un totalitarismo. Il totalitarismo si distingue storicamente per la volontà di dividere gli esseri umani secondo delle linee tracciate con il righello, dritte: i puri e gli impuri. La matita utilizzata è diversa. Il nazionalsocialismo ha utilizzato la razza, un’idea totalmente artificiale dell’esistenza di una razza ariana contrapposta ad altre razze, un’idea totalmente imbecille dal punto di vista scientifico. La linea che permette di dividere. La divisione avviene sulla base di che cosa un uomo è. Gli ebrei in Germania nel ’33 erano dei buoni patrioti tedeschi; molti di loro avevano combattuto nelle trincee della Grande Guerra, alcuni di loro avevano preso la croce di ferro, erano degli eccellenti cittadini tedeschi che lavoravano per il rafforzamento e per il ritorno della Germania alla potenza economica. Ma erano impuri in quanto ebrei. Non potevano nascondere nulla. La loro condanna a morte era scritta nella loro biografia, il giorno stesso in cui erano nati. Nulla poteva cancellare quella condanna: quello è il totalitarismo , la separazione degli uomini. Da una parte quelli che hanno diritto di vivere e dall’altra quelli che devono essere cancellati. Il totalitarismo islamico separa gli uomini».
L’autore ha concluso il suo intervento specificando di non aver scritto un trattato sull’Islam. Il suo ultimo libro è solo un viaggio attraverso i luoghi, le città e le strade del Grande Califfato.