La provvisorietà del sistema italiano, reso forzatamente maggioritario da improbabili formule e alchimie elettorali, si è dimostrata tale in tutte le recenti esperienze di governo.
Nel nostro panorama politico hanno continuato a (soprav)vivere e proliferare le divisioni, la difesa delle singole corporazioni a danno dell’interesse comune e della stabilità che, come appare oramai acclarato ed evidente, se non accompagnata dalla solidità d’un assetto autenticamente e convintamente maggioritario, non può discendere da nessun sistema elettorale in grado di (pre)determinarla (se non per breve tempo).
Una delle verità è che il nostro paese ha mantenuto ancora aperto e vivo quell’elemento fortemente proporzionale, favorevole alla continua nascita di micro fazioni, sempre pronte a contrapporsi alle tendenze egemoniche, interne ai due poli, sin qui rappresentati dal PDL e dal PD.
Senza farla particolarmente lunga e in estrema sintesi: il Popolo delle Libertà, a suo tempo, è nato da un atto di imperio ed ha convogliato su sè, volente o nolente, il peggio di tutta l’eredità pentapartitica (più la sesta gamba post-fascista); il Partito Democratico è stato crocevia tra post-comunisti e sinistra democristiana, figlio del consociativismo e di un sodalizio da cui è scaturito un ibrido, sedicente progressista, non privo di contraddizioni, sovente costretto ad un’estenuante mediazione tra le parti ed al compromissorio immobilismo.
L’illusoria promessa di rivoluzione liberale, da un lato, e il riformismo di impronta progressista, dall’altro, sono perciò rimasti lettera morta, entrambi imbrigliati nel mai morto conservatorismo di determinati e determinanti settori, dell’una e dell’altra parte, dal potere di veto e dalle resistenze da questi ultimi esercitato a più riprese.
Ecco perché oggi le contraddizioni d’un equilibrio precario trovano la loro fatale e, forse, necessaria esplosione.
Il vuoto politico e la confusione istituzionale, sconfinati in un semi-presidenzialismo al di fuori del dettato costituzionale, hanno poi dato origine all’adozione di un governo tecnico, tutto fondato su una rappresentanza extra-parlamentare (seppur assoggettato al voto di fiducia delle due Camere).
Ora, nella totale incapacità manifestata da tutte le forze politiche, di darsi nuove regole elettorali e istituzionali, il ricorso alle urne rappresenta una possibile via d’uscita dall’attuale stallo e dalla durevole crisi che, per quel che ci riguarda, non è solo di natura economica.
Da quest’importante appuntamento potrà scaturire la definitiva destrutturazione del nostro sistema, con una fase Costituente e con un governo di coalizione (post-elettorale), capace di dare nuova configurazione all’Italia, nell’ambito europeo che dovremo contestualmente immaginare e costruire.
A poco più d’un mese dalla prossima consultazione elettorale lo scenario resta particolarmente confuso ed ancora sin troppo equivoco.
Viviamo, per ora, immersi nell’era del “tutti contro tutti”. Il che rende poco chiare – se non addirittura incerte – le prospettive future.
Ecco, in sintesi e in ordine sparso, gli attori (e i comprimari) politici, scesi o saliti in campo:
- l’apparentemente immarcescibile uomo medio dei media Berlusconi Silvio, che, in un rinnovato e ritrovato spirito revanscista, ripropone i soliti e logori stereotipi contro l’universo mondo che – a suo dire – ha ordito orridi complotti contro la sua venerabile persona.
Il programma politico, nella sua narrazione autodiegetica, ferma e incompiuta dal 1994, è tutto basato sulla sua carezzevole mano, pronta a difendere e tutelare il portafogli (suo) e del popolo italico; oggi teorizza la fuoriuscita dall’euro, senza meglio specificare quali diventerebbero i rapporti di forza economica e di cambio monetario tra il nostro paese e il resto della comunità internazionale.
Massimo esponente della destra eversiva (rispetto alla Costituzione vigente), che ha già dato prova di quanti e quali danni è capace di generare come forza di (mal)governo, si presenta con la solita coalizione raffazzonata di mai domi maggiordomi, fatta di residuo leghismo domestico, ridottosi a magro (ma famelico) macro-regionalismo nordico stanziale a Roma, grande sud (per Dell’Utri) e vecchi fratelli colonnelli in finto ammutinamento, sempre pronti e proni ad ubbidire al loro benefattore.
- l’omologo, in apparente chiave rivoluzionaria, uomo medio dei nuovi media Grillo Giuseppe Piero, in arte Beppe.
Detentore unico, indiscusso e indiscutibile di un nuovo brand, attraverso cui veicola la sempreverde concezione personalistica della democrazia diretta da pochi (ben organizzati) su molti (disorganizzati).
Particolarmente noto per le diverse epurazioni, si è reso identico a tutti gli altri partiti/movimenti d’impronta padronale che, arroccati nella tenace difesa del dominio personale, hanno fatto strame della democrazia interna e adottato gli stessi metodi per isolare i dissidenti, falcidiare le minoranze o gli avversari interni.
Seppur partendo da giusti e sacrosanti rilievi, mossi contro il malaffare, la malapolitica, la putrescenza di molti geronti inamovibili, ha totalmente perso di vista qualsiasi possibilità di confronto con quel che di buono e salvabile (forse poco) poteva cogliere, posseduto dallla furia iconoclasta e dalla presunzione di poter essere l’unico tutore di una “purezza” che, alla fin fine, si ridurrà ad una più o meno nutrita pattuglia di peones sotto stretta tutela destinati a sbarcare nelle sedi parlamentari.
- il tecnico ora premier pirotecnico Monti Mario che, preso dalla frenesia della propaganda, con lo strascico della destra “perbene”, fa a gara su chi le spara più grosse, distribuisce pagelle, giudizi e voti.
Folgorato da improvvisa resipiscenza, dopo aver messo in temporanea sicurezza (?) i conti, nella sua esclusiva visione macro-economica e finanziaria, dimostra ora maggiore, ancorchè tardiva, consapevolezza rispetto alla necessità di guardare all’economia reale come motore della futura e tanto attesa crescita.
Ha del clamoroso lo stupore di chi soltanto adesso, dopo averne coltivato, favorito e consentito l’ascesa, scopre che trattasi di tecnocrate con piglio, cipiglio e malpiglio di destra, orientato ad imporre soluzioni tendenzialmente affini alla reaganomics o al thatcherismo.
- Antonio Ingroia, procuratore in veste di sostituto dell’Apparatčik: la sua rivoluzione civile sembra assumere il ruolo di porta di servizio da cui far (ri)entrare i vari leaders della sinistra costretta all’esilio extra-parlamentare, dell’Italia dei Valori e della Federazione dei Verdi.
Ferma restando la dignità della persona in questione, nei cui confronti si possono però sollevare obiezioni circa l’opportunità di quest’alternarsi del ruolo di (ex?) magistrato inquirente che cede il passo ad una forte caratterizzazione politica, la rottura col movimento “Cambiare si può”, per esempio, dimostra quante e quali contraddizioni si sono manifestate nel concepimento di questo progetto.
Le contestazioni, in particolare, hanno riguardato forme e modalità tutte fondate su vecchie logiche di vertice tra le segreterie dei partiti aderenti e le contraddizioni di chi ha spensieratamente “imbarcato”, assieme alla sinistra “radicale”, un ex ministro/magistrato, a suo tempo sostenitore del programma delle Grandi Opere, del Tav e convinto difensore delle forze dell’ordine che hanno consumato i massacri del G8 di Genova.
- Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola e il centrosinistra, sebbene non del tutto liberato da alcuni coriacei e resistenti esponenti della nomenklatura, con le Primarie per la Premiership e le candidature parlamentari, hanno rappresentato l’unico, vero esempio di democrazia partecipata (numericamente più che rilevante, non come le condominiali di Grillo, per intenderci), atto a superare i limiti imposti dal Porcellum e colmare la distanza tra rappresentanti e rappresentati.
Il Partito Democratico e Sinistra, Ecologia e Libertà, hanno dato nuova speranza a quel popolo che, anche se ripetutamente deluso, ha così potuto continuare a credere in un futuro fatto di maggiore equità e dove la politica riesca a ritrovare la sua dignità e sia interpretata nell’interesse comune.
Va reso onore e merito a Matteo Renzi, nel cui futuro c’è il destino di un grande protagonista e sicuro leader del centrosinistra, per aver dato un impagabile contributo in questa direzione che ha favorito il superamento del gap politico, generazionale e di genere.
Tra tutte le “offerte” politiche, a tratti dense di populismo e di demagogia, il centrosinistra ha mantenuto un profilo di maggiore coerenza e affidabilità.
Ecco perché il mio personalissimo consenso, per quel che può contare, è orientato verso la bella politica, le nuove speranze e le future conquiste che il centrosinistra sarà chiamato a realizzare, con tutto il senso di responsabilità di cui sarà capace, secondo un programma di maggiore equità e giustizia sociale.
Le polemiche circa la distanza tra le diverse posizioni in seno al centrosinistra, provenienti in gran parte da chi si dice fermo e convinto sostenitore del bipolarismo e degli schieramenti a vocazione maggioritaria, appaiono abbastanza inconsistenti, almeno per due ragioni: la prima è che la sinistra, rappresentata da Vendola, dopo le funeste esperienze del passato e l’insano fratricidio originato dal “fuoco amico”, ha oggi acquisito quella necessaria consapevolezza dell’essere forza di governo e coltiva una maggior propensione alla ricerca della possibile mediazione e conciliazione, riducendo così il rischio di insanabili divisioni; la seconda è che, se davvero siamo convinti della stabilità derivante dal maggioritario e dal bipolarismo, basato sull’alternanza, presupposto e portato di tutto questo è il democratico confronto delle diverse espressioni politiche raccolte all’interno d’un unico, grande schieramento.
Sotto questo punto di vista il Partito Democratico è stato l’unico a saper interpretare e cogliere lo spirito del tempo che viviamo e presentarsi come valida alternativa maggioritaria per il futuro dell’Italia, dimostrandosi capace di rinnovarsi, favorire il virtuoso circuito democratico dell’appassionato confronto interno e mettersi in gioco.
Come negli Stati Uniti laddove, sia nel Partito Repubblicano che nel Partito Democratico, convivono una varietà di opzioni politiche che vanno dal conservatorismo più estremo al progressismo più spinto.
Anche in Italia sarebbe tempo di stabilire in quale direzione vogliamo definitivamente spingerci: ecco perchè il voto al Partito Democratico è la strada maestra per il cambiamento e per il rinnovamento di cui l’Italia ha bisogno ed urgenza.
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